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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Milano

La santità collettiva per passare
dalla convenzione alla convinzione

Presieduto in Duomo il Pontificale nella solennità del Santo compatrono della Diocesi: sull’esempio di San Carlo il cardinale Scola esorta i sacerdoti alla «meditazione e azione» per edificare «una civiltà dal volto umano»

di Filippo MAGNI

4 Novembre 2013

Santità e operosità. Ruota intorno a questi valori la figura di San Carlo tratteggiata dal cardinale Angelo Scola in occasione del Pontificale che ricorda il Borromeo come compatrono della Diocesi di Milano.

Un Santo il cui esempio, predica Scola, parla oggi sia ai laici che ai ministri ordinati. Il cardinale inizia proprio da questi ultimi, o meglio da chi sarà presto sacerdote, recitando insieme ai seminaristi i Vespri. Lo fa nello scurolo che custodisce il corpo di San Carlo. Lì, sotto l’altare del Duomo, l’Arcivescovo di Milano indossa i paramenti e al termine della preghiera avvia il corteo che lo accompagna sulla cattedra di fronte all’assemblea. Accanto a lui i numerosi concelebranti (200 i sacerdoti) tra cui i membri del Consiglio episcopale milanese e mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno e Visitatore apostolico dei seminari. Partecipano dall’assemblea gli studenti dei seminari di Milano e Lugano.

L’esistenza di San Carlo, afferma Scola, “fu un’esistenza santa, cioè capace di vivere in pienezza tutta la realtà, circostanze e rapporti, ed operosa, cioè intraprendente nell’edificazione”. Fu un “ministero indefesso” al centro del quale era posto il Crocifisso. “Lo attestano – ricorda l’Arcivescovo – reliquie preziose come il piccolo crocifisso che conservava in camera sua cui era devotissimo, o come il Sacro chiodo che anche noi, il prossimo 8 maggio, esporremo alla pubblica venerazione in un solenne atto di professione di fede”. Da qui emerge “il cuore dell’insegnamento di San Carlo: la nostra vita è definita dalla sequela del Crocifisso risorto che ci garantisce la gratuita partecipazione all’amore della Trinità stessa”.

Operosità e preghiera, cioè “meditazione e azione” hanno caratterizzato lo stile del Santo e parlano ancora oggi ai sacerdoti, prosegue Scola, suggerendo alcune attenzioni.

“Impegniamoci – raccomanda – a verificare i nostri ritmi di preghiera, del nostro rapporto diretto con il Signore: la preghiera quotidiana, la preghiera settimanale, la preghiera dei tempi liturgici, i momenti di preghiera annuali (esercizi spirituali, pellegrinaggi)”. Con un ammonimento: “Ricordiamoci, in particolare, che la liturgia fa spazio alla sensibilità e alla creatività, ma non all’arbitrio. Gli spazi per la creatività sono indicati nelle rubriche: chi prepara e presiede la celebrazione deve interpretarli con umiltà, intelligenza e fedeltà”.

Attenzioni non fini a se stesse, ma con un obiettivo ben preciso. Creare una “santità di popolo, santità collettiva, fare santa tutta la comunità”, come scriveva il card. Montini descrivendo l’opera di San Carlo. Perché “Il “cattolicesimo di popolo” – aggiunge Scola – per certi versi ancora vitale sul nostro territorio, non avrà futuro se non passa dalla “convenzione” alla “convinzione”. Seguendo il criterio della pluriformità nell’unità, capace di valorizzare tutto l’esistente che lo Spirito suscita nella nostra Chiesa ambrosiana”.

Un “rinnovamento nella vita della Chiesa”, conclude l’Arcivescovo, “che ha sempre avuto come attori principali i Santi”. Quelli solennemente riconosciuti, aggiunge, e quelli quotidiani che rimangono sconosciuti ai più. Santi che in dialogo con il vero protagonista, il Signore, “sono preziosi edificatori di una civiltà dal volto umano. Di essa anche oggi avvertiamo tutti, credenti e non credenti, l’urgente necessità. Per questo la ricorrenza civile del 4 novembre non deve vedere i cristiani smemorati”.