«Come si realizza questo uscire da se stessi per portare a tutti l’Evangelo dell’umano? Rischiando la propria libertà, esponendo se stessi. Il Vangelo, soprattutto quello di Giovanni, chiama questo testimonianza» (Il campo è il mondo, 41).
All’inizio del tempo quaresimale, queste parole della lettera pastorale assumono ancora più significato. Tempo di ascesi e di concentrazione, la quaresima di questo anno pastorale può diventare il luogo in cui approfondire e dare maggiore qualità alla nostra testimonianza di fede. Per ripulirla da riduzioni e semplificazioni che ne indeboliscono il funzionamento. «Il necessario “buon esempio” non basta per renderci testimoni autentici», ci ricorda il nostro Arcivescovo; invece si è testimoni, quando «attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica».
La contemplazione della croce di Cristo diventa un esercizio formidabile per comprendere il contenuto profondo di queste affermazioni. Nel crocifisso noi vediamo l’apparire del volto di Dio, così come Lui si è voluto comunicare a noi: un Dio inedito, profondamente diverso dalle tante immagini idolatriche che anche noi cristiani spesso ci costruiamo.
La quaresima diventa così per noi quest’anno luogo privilegiato di ri-apprendimento della testimonianza cristiana. I gesti di ascesi che ci apprestiamo a vivere, l’intensificazione del ritmo della nostra preghiera, l’identificazione di forme di carità e di solidarietà possono, quest’anno, essere assunti come forme di esercizio della nostra contemplazione e della nostra azione.
Perché, per essere riappresa, la testimonianza ha bisogno anzitutto di contemplazione: occorre senza stancarsi ritornare continuamente alla sorgente, e fissare i nostri occhi su quella croce che ci rivela l’eccesso di autoesposizione di Dio per noi, per amore. Come ci insegnano l’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo, è proprio questo esercizio di contemplazione, questo testardo fissare i nostri sul crocifisso che trasfigura la nostra volontà, le nostre emozioni, e ci rende uomini nuovi, uomini e donne capaci di raccontare l’esperienza dell’incontro con l’amore di Dio dentro la quale il crocifisso risorto ci attrae.
Una contemplazione che non genera un nuovo stile di presenza tra le persone e dentro la società sarebbe tuttavia segno di un cammino interrotto, di una pratica non giunta a buon fine, come ci ricorda l’apostolo Giacomo nella sua lettera. Ecco perché la quaresima è anche palestra in cui esercitare la nostra testimonianza, verificando e affinando i nostri comportamenti. Papa Francesco non si stanca di stimolarci, con le sue immagini pregnanti, in questi esercizi. Come lui ci chiede, approfittiamo di questa quaresima per spogliarci dell’individualismo triste che rende sterile la nostra vita, per fare nostra la gioia che ci viene dalla contemplazione della misericordia di Dio per noi, dando così freschezza e slancio al nostro quotidiano.
Saremo così capaci di vivere quella testimonianza a cui il cardinale ci invita con decisione, nella sua proposta pastorale.
Da Avvenire, 08/03/14