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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Angelus

La fede alla prova della sofferenza

Il commento di Papa Benedetto al brano del Vangelo che narra la guarigione della figlioletta di Giario e la donna emorroissa

di Cristiana DOBNER

2 Luglio 2012
Pope Benedict XVI greets pilgrims and faithfulls in the courtyard of his summer residence in Castel Gandolfo, outside Rome, during his traditionnal sunday Angelus prayer, 17 September 2006. The Pope said he was "deeply sorry" for outrage triggered across the Muslim world by remarks he made about Islam and stressed they had not reflected his personal opinion. Under mounting pressure from Muslim leaders to offer a personal apology, the head of the Roman Catholic Church stopped short of retracting his remarks made in Germany last week in which he quoted an obscure medieval text that criticised some teachings of the Prophet Mohammed as "evil and inhuman".  AFP PHOTO / DANIELE COLARIETI

Quasi sempre o forse del tutto sempre, gli eventi che costellano la nostra esistenza presentano diversi piani di lettura: l’uno immediato, l’altro più sottile e più nascosto ma non per questo meno incisivo o meno reale. A questo sguardo ci educa il Vangelo e il commento di papa Benedetto alla liturgia di domenica 1 luglio (rito romano, ndr) che narra la guarigione della figlioletta di Giario e la donna emorroissa: «Due episodi in cui sono presenti due livelli di lettura; quello puramente fisico: Gesù si china sulla sofferenza umana e guarisce il corpo; e quello spirituale». Non perché noi umani si sia scissi, con da una parte il corpo e dall’altra lo spirito, così pensando la persona non sarebbe una, ma perché il grande segno della guarigione fisica porti e conduca ad afferrare qualche cosa di più e di perenne: «Gesù è venuto a guarire il cuore dell’uomo, a donare la salvezza e chiede la fede in Lui». Impresa del tutto eccezionale: toccare il nucleo e dargli una svolta. Quando ben sappiamo quanto sia difficile anche solo spostarsi da un’idea per comprendere gli altri.

Gesù chiede qualche cosa di ancora più profondo: l’apertura di questo nucleo per ricevere la fede. Non per astrazione o confronto, sì per esperienza: Egli stesso si muove verso di noi ma non per espugnarci. La libertà che rileva una potenza diversa che lo investe e lo coinvolge, può affidarsi o rifiutarsi, tocca il vertice e deve sbilanciarsi, non può rimanere indifferente e scrollare le spalle ad un Altro.

Papa Benedetto ricorda Girolamo e il suo monito: «Il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù», che magari esistono, sono esercitate ed educate ma insufficienti; possono trovare la loro autentica energia solo in uno scarto, in un balzo che abbandona la propria posizione autocentrata per fare posto a un altro centro. Non soppiantandolo o distruggendolo bensì guarendolo e conferendogli una dimensione nuova, in cui il cuore si scopra abitato e sollecitato, ricco di nuove forze che cantano una vita diversa, quella della fede e non solo quella dello scorrere del tempo e della pura materia. In quest’accettazione, la persona si scopre giunta e condotta alla sua totalità: il corpo e lo spirito, insieme e coordinati, si armonizzano perché la grazia, cioè l’amicizia con Dio, la comunione amorosa, non rinchiudono la persona ma la dilatano. Esplode, allora, la fede che salva: «Figlia, la tua fede ti ha salvata».

Non è stolido o non aderente alla realtà l’insegnamento di Papa Benedetto e neppure teso a negare quanto riscontriamo, passo dopo passo, che ci viene incontro e sembra travolgerci, rappresenta l’essenziale: «Superare una visione puramente orizzontale e materialista della vita».

Senza essere degli struzzi che infilano la testa sotto la sabbia della bufera incombente e si ritengono salvi, perché «è giusto» mentre ci dibattiamo fra «problemi, necessità concrete», chiederne la guarigione. È inevitabile che si debbano affrontare, conoscere e superare, nessuna esistenza ne è priva. Il continuo e inesausto chiedere è prezioso però quando sia innervato dalla fede da «chiedere con insistenza», per tre ragioni concomitanti fuse nell’energia spirituale salvifica. Innanzitutto, «perché il Signore rinnovi la nostra vita»: la vitalità inestinguibile di chi si sa pellegrino verso una vita che non muterà più. Poi, «una ferma fiducia nel suo amore» – mai scoraggiata perché consapevole di una Presenza che non tentenna ma è salda – e infine fiducia anche «nella sua provvidenza che non ci abbandona», perché sempre ci previene, ancora prima che lo si avverta, già in atto e soltanto da riconoscere.

Gesù si è sempre piegato verso la sofferenza umana quando percorreva le strade della Palestina e continua ancora oggi, in una visione di fede, a essere piegato su di noi per rialzarci e soccorrerci, dobbiamo però aiutarlo.

Quando siamo deboli, colpiti da qualche malanno, impossibilitati a una vita autonoma, invochiamo aiuto e «le riserve d’amore» – chi dedica la vita professionale a guarire – diventano oasi che parlano e dimostrano la potenza salvifica di un cuore che sappia condurre «all’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro».