Ogni anno, durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ci si ritrova ad affrontare il tema della prospettiva ecumenica delle Chiese, e ogni anno si rimane indecisi tra la speranza di un futuro più chiaro e un presente fatto ancora di passi piccoli e incerti. Eppure lo spirito ecumenico progredisce; senza fenomeni eclatanti, né evidenti trasformazioni, ma nel clima diffuso di accoglienza e di apertura al confronto. È possibile pregare insieme, senza alcun impedimento, attivando ogni possibile occasione, come ha sottolineato il pastore valdese Giuseppe Platone, segretario del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, ricordando che da 15 anni il Consiglio opera nella città e promuove ogni anno la Settimana di preghiera per l’unità.
Così la Settimana di quest’anno, appena conclusa, ha messo in luce tutti i grandi temi di fondo che l’intento ecumenico porta con sé, insieme alla provocazione radicale quale è la divisione in nome dello stesso Cristo. Paradosso e scandalo, perché Cristo non può essere diviso, come ha sottolineato il tema della Settimana accogliendo l’insegnamento dell’apostolo Paolo nella sua Lettera ai Corinti (1Cor 1,1-17), che esorta a vivere d’accordo, senza contrasti, né divisioni. Un richiamo che vale particolarmente oggi, nel confronto con la globalizzazione e l’integrazione multiculturale: non dobbiamo erigere mura intorno a noi – tanto meno nel nome di Cristo -, ma piuttosto «creare unità nella diversità, cioè nella comunione – spiega padre Traian Valdman, della Chiesa Ortodossa romena di Milano -. Siamo chiamati a vivere d’accordo a coltivare il dialogo, a superare le divisioni esistenti e a evitare di crearne di nuove». Testimoniare insieme, quindi, la buona novella di salvezza.
E i fedeli hanno recepito questo messaggio e questa intenzione. Alla celebrazione di apertura della Settimana, nella chiesa di San Francesco di Paola in via Manzoni, c’era l’affollamento delle grandi occasioni. Le diverse voci oranti, i doni portati all’altare – una Bibbia, un’icona di Cristo e una candela di luce, come simboli di ciò che connota la vita di ogni Chiesa e ne sancisce la medesima origine – e la presenza di ministri e fedeli appartenenti alle 16 Chiese che compongono il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano hanno evidenziato il desiderio e la necessità del sentirsi uniti in Cristo, e non divisi.
L’obiettivo di «operare insieme, quanto più possibile, ai diversi livelli della vita ecclesiale» è stato espresso anche dai giovani che si sono ritrovati nella chiesa metodista di via Porro Lambertenghi, da quanti hanno pregato i Vespri nella chiesa greco-ortodossa di Santa Maria Podone, da chi ha condiviso un breve tempo di ascolto e preghiera ecumenica nella pausa-pranzo dei giorni feriali nella chiesa ortodossa russa in San Vito al Pasquirolo, e infine anche da chi ha seguito la riflessione biblica proposta nella Chiesa Cristiana Protestante.
La sollecitazione a non trascurare l’ecumenismo già vivo e operante e a proseguire con intensità il dialogo tra le Chiese, sul piano della carità e della conoscenza e della verità, rafforzando quanto i fedeli sono ormai propensi a condividere, è giunta dunque dalla base, così come dal dibattito ad alto livello. Quale è stato svolto nella tavola rotonda sul tema “Realtà e prospettive dell’ecumenismo oggi in Italia” da don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’ecumenismo e il dialogo, dalla pastora valdese Maria Bonafede e dalla filosofa greca ortodossa Elisabetta Fimiani, presidente del Consiglio delle Chiese Cristiane della Regione Campania.
«L’ecumenismo è una vocazione e non è superato – ha detto quest’ultima -, ma risente della cultura ambientale. Di qui la necessità che le Chiese siano unite davanti ai problemi della gente del nostro tempo». La richiesta è di pensare a corsi di formazione ecumenica per quanti operano nella pastorale delle Chiese, ma anche a un Consiglio delle Chiese a livello nazionale e non solo territoriale. «Se ci riconosciamo in una Chiesa, in una comunità cristiana – ha affermato don Bettega – non abbiamo scelta: unità e concordia sono le parole d’ordine e il programma da avere sempre in agenda. Una comunione che ci permetta di avere orizzonti ampi, di allargare la mente, gli occhi, il cuore, il cammino; una comunione sempre più universale. E non abbiamo motivi di essere scettici». La strada è dunque aperta. «Cosa sarebbe la vita cristiana senza la contaminazione ecumenica?», si è chiesta Maria Bonafede, auspicando che insieme si possa operare per costruire una generazione capace di acquisire i passi finora compiuti verso una maggiore comunione. Non è l’uniformità, ma la condivisione delle diverse identità che sola può costruire la comunione in Cristo.