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Intervista a don Edy Cremonesi, parroco della Resurrezione a Quarto Oggiaro «CHI UMANIZZA IL QUARTIERE È LA PARROCCHIA»

2 Marzo 2006

La prima catechesi quaresimale dell’Arcivescovo dal titolo “Vostro è il Regno di Dio” si terrà martedì 7 marzo nella parrocchia della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo a Quarto Oggiaro. La comunità, che oggi conta circa 7 mila anime, festeggerà in settembre i 25 anni di consacrazione della chiesa.

di Luisa Bove

Don Edy Cremonesi ha fatto il prete missionario dal 1982 al 1996. Quando è tornato dall’Africa è stato assegnato alla parrocchia della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. «Io vivo molto la mia vita come prete e so che ovunque vado devo svolgere la mia missione e quando ho finito vado da un’altra parte», dice oggi il parroco don Edy. «Milano rispetto all’Africa è un mondo completamente diverso: là era più facile fare il prete, nonostante quello che pensa la gente per fattori ambientali, culturali o altro. Avevo una comunità molto vivace dal punto di vista dell’espressione della fede e della partecipazione, qui invece la comunità è più convinta».

Lei è parroco da dieci anni. Che cosa è cambiato da allora nel quartiere?
Il contesto è cambiato perché tanti anziani sono morti e i figli sono tornati ad abitare nelle case dei genitori o sono arrivate nuove famiglie. Questo ha portato a un rinnovamento del quartiere. A Quarto Oggiaro hanno iniziato a costruire le prime case nel 1958 e hanno finito dieci anni dopo. In un nuovo quartiere si arriva tutti all’età di 30 anni, si invecchia insieme, ma poi avviene un mutamento. Ora la gente sta bene dal punto di vista economico, ma i problemi più gravi sono legati ai ragazzi e agli anziani.

Quarto Oggiaro è un quartiere tristemente noto per fatti di cronaca, ma voi rifiutate questa identificazione…
Certo. Tutte le nostre parrocchie, anche quelle di Santa Lucia e Pentecoste, che sorte su un territorio più difficile del mio, sono un punto di riferimento. Non solo per l’aspetto dell’evangelizzazione e dei sacramenti, ma anche dal punto di vista umanizzante e della carità. Una famiglia che perde la casa, per esempio, si rivolge in parrocchia. Chi umanizza il quartiere è la parrocchia, lo diciamo con un po’ di orgoglio…

La parrocchia è l’unico luogo di aggregazione o i giovani trovano altro sul territorio?
Non c’è quasi nulla. Una volta c’erano dei centri sociali, ma per diversi motivi sono stati lasciati andare. Forse anche per la mancanza di una volontà politica di tenerli in piedi, soprattutto da parte delle ultime amministrazioni. Però esiste una biblioteca molto bella, inaugurata tre anni fa, che dal punto di vista culturale potrebbe essere usata anche dai giovani, ma ne usufruiscono solo pochissime persone.

C’è qualcosa che dovrebbe essere fatto a livello di istituzioni e società civile per rilanciare il quartiere?
La prima cosa da fare sarebbe investire energie e risorse economiche a livello educativo per i ragazzi. Facevo la proposta che l’amministrazione comunale pensasse agli educatori di strada e li immettesse nel nostro quartiere, anche perché ormai il luogo più abitato da adolescenti e giovani non è più né la casa, né l’oratorio, ma la strada. L’oratorio è un luogo dove anche alla squadra di calcio si chiedono regole, ma non tutti ci stanno. E allora preferiscono la strada. Ma noi dobbiamo guardare a loro e arrivare lì dal punto di vista missionario. Io però mi accorgo di non avere gli strumenti, sono troppo vecchio e riesco solo a pensare ad alcuni aspetti.