Aveva 37 anni e la qualifica di infermiera, Gabriella Lorenzi, quando nel febbraio 2003 ha lasciato l’Italia ed è partita per il Camerun come fidei donum della Diocesi. Appartiene alla Comunità missionarie laiche Pime ed è «grazie alla collaborazione con l’ufficio di Pastorale missionaria e alla stima reciproca» che ora è nel Paese africano, garantendo una presenza missionaria «espressione della Chiesa di Milano».
«Fin dagli inizi il mio lavoro a Garoua è stato in collaborazione con operatori locali, in particolare con i responsabili del Coordinamento sanitario della diocesi locale – spiega Gabriella -. Mi sono occupata di educazione sanitaria all’interno dei villaggi, formando direttamente gruppi di donne perché potessero mettere in atto alcune strategie d’igiene di prevenzione, utilizzando mezzi e risorse locali. Col passare degli anni la mia attenzione si è rivolta anche ai pazienti sieropositivi, in particolare chi, non avendo mezzi culturali, economici e sociali, non riusciva ad accedere agli esami di routine e alle cure antiretrovirali. Sono stati organizzati anche corsi di formazione per i giovani sulla conoscenza del proprio corpo e sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Da quattro anni ci occupiamo anche di adulti senza fissa dimora con un servizio di mensa e vestiario quotidiano».
Chi sono i suoi collaboratori?
Il progetto oggi vede la presenza di quattro collaboratori locali: sono giovani che non avevano prospettive lavorative, perché nel nord del Camerun la disoccupazione giovanile è uno dei problemi più gravi della società. Ora il progetto è a tutti gli effetti diocesano e avrà anche in futuro una continuità grazie ai collaboratori locali.
Com’è la situazione della popolazione?
All’interno dei villaggi dilaga la povertà e di conseguenza la malnutrizione dei bambini, con casi di diarree e malattie infettive. Però le donne sono il riferimento centrale della vita e della società, anche se la maggior parte di loro manca di un’istruzione di base. Tuttavia hanno una grande forza e un coraggio che non permette loro di fermarsi, di arrendersi di fronte alle innumerevoli difficoltà, a volte anche di sopravvivenza. In questi anni ho visto molte donne che, seppure analfabete, hanno riscattato la loro posizione cercando di mettere in atto alcune microattività per garantire la scuola ai bambini e le cure di base. Sono molto ricettive, ma spesso anche bloccate per mancanza di mezzi perché vivono in villaggi isolati, lontani dai centri abitati e irraggiungibili nella stagione delle piogge.
E dei bambini cosa mi può dire?
Sono il futuro di questa società, ma non sempre gli insegnanti si presentano a fare lezione nella scuola del villaggio e spesso sono i genitori a doverli pagare. E così l’istruzione di base viene a mancare. I bambini sono i più vulnerabili anche dal punto di vista della salute: la mortalità infantile al di sotto dei 5 anni è molto elevata.
Lei si trova nel nord del Camerun, una zona “calda” anche per la presenza di gruppi terroristici islamici. Qual è il clima che si respira oggi?
Per ora qui a Garoua la situazione è tranquilla. Sono aumentati i controlli in città e la presenza della polizia è notevolmente aumentata. Riusciamo a muoverci con tranquillità durante la giornata e con prudenza la sera e negli spostamenti verso la regione dell’estremo nord, dove recentemente sono stati rapiti alcuni missionari (poi liberati, ndr). Penso che sia importante non lasciarsi prendere dal panico, ma affidarci anche alla sicurezza della polizia locale.
Quando rientrerà dalla missione?
Il 2015 vedrà la fine del mio mandato missionario e tornerò in Italia. Il rientro fa parte della logica dell’essere fidei donum, ma sono serena perché il lavoro avrà una continuità. In questi anni ho acquisito un grande bagaglio di conoscenze lavorando accanto e a stretto contatto con gli amici camerunesi.