Arrivano sul sagrato gelato già molto prima dell’inizio della celebrazione. Nelle loro parole l’emozione per l’annuncio del Papa e il ricordo di monsignor Luigi Giussani, oggi Servo di Dio: «Mi sembra che ci abbia lasciato ieri e, invece, sono già trascorsi otto anni», dice un anziano sacerdote che attende anche lui di entrare in Duomo.
Poi, in una Cattedrale che quasi non riesce a contenere le migliaia di aderenti al Movimento di Comunione e Liberazione che continuano a giungere, l’eucaristia presieduta dal cardinale Scola in memoria appunto di “don Gius” – nell’ottavo anniversario dalla morte e nel XXXI del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione – è anche un modo, forse il più bello e intenso, per ritrovarsi e pregare insieme. Sono presenti i fratelli di monsignor Giussani, Gaetano e Livia, volti noti come Roberto Formigoni o Gabriele Albertini, ma soprattutto è la grande massa dei fedeli che “scalda”.
L’Arcivescovo – concelebranti molte decine di sacerdoti, tra cui Julián Carròn, successore di Giussani alla guida della Fraternità, il Vicario generale della diocesi monsignor Mario Delpini e l’assistente diocesano di Cl don Mario Garavaglia – a tutti si rivolge, con la voce forte e chiara di sempre, ma che tradisce comunque un poco di emozione, quando, in apertura dell’omelia, citando il Qoélet della Lettura, parla delle domande decisive della vita. “Criteri” per trovare un senso, una direzione nell’esistenza; risuona, allora, tra le navate quella parola – “destino”, “nome mirabile” secondo la definizione del Prefazio – che, se liberata da troppo facili interpretazioni, è “cifra” dell’umano, come don Giussani comprese e testimoniò con la sua vita e il suo carisma educativo.
«La vita eterna è il destino dell’uomo – spiega l’Arcivescovo – che strappa il tema del destino dal rischio di essere relegato in un remoto e astratto “dopo la morte”. Questo nome è il santissimo nome di Gesù, il Verbo fattosi carne. Il nostro destino è presente a noi fin da ora. E l’Eucaristia cui stiamo partecipando è già, in germe, la nostra risurrezione».
Insomma, come diceva “don Gius” – il cui “pensiero sorgivo” giungeva sovente alle acquisizioni più pregnanti del pensiero contemporaneo -, «guardare e amare ogni cosa e ogni persona per il suo destino». Non a caso, questa espressione ritorna più volte nella riflessione del Cardinale, promuovendo così quell’“insieme”, quel “noi” della comunità che crea amicizia civica e religiosa: in un’unità di cristiani maturi, che tali si possono definire solo se sanno comprendere il valore della confessione dei propri peccati e limiti, «facendosi scrutare nel profondo da Dio». Un tema, quello della confessione e del sacramento della riconciliazione, caro al nostro Pastore, di fronte a tanto protagonismo dell’uomo contemporaneo e che dice invece tutta l’umiltà di chi ha capito cosa significhi essere alla sequela del Signore.
Il pensiero non può che andare a Benedetto XVI: «Il Papa ha legato la parola confessione alla parola martirio, cioè al pagare di persona. Il martire, il testimone è colui che, esponendosi per primo, rende possibile l’incontro tra la libertà di Dio e la libertà degli uomini. La testimonianza non è solo buon esempio, questo è in un certo senso ovvio, ma è conoscenza della realtà e perciò è comunicazione della verità. L’umile gesto sorprendente compiuto da Benedetto XVI non dilata forse il nostro modo di conoscere cosa sia una vita piena che sa stare di fronte a Gesù destino dell’uomo? E questa posizione di verità non viene così comunicata a tutta la famiglia umana?». Lo hanno comunicato persino anche i mass media (a loro modo, naturalmente), nota l’Arcivescovo.
Da qui il richiamo al «carisma pedagogico» di don Giussani, capace di comunicare in ogni ambiente il valore dell’incarnazione di Gesù e la sua logica che «documenta la bellezza della fede».
«Di fronte alla crisi della fede europea, che secondo Benedetto XVI può condurre al “tedio dell’essere”, testimoniate, rischiando di persona, che il cristianesimo è l’ “umanesimo veramente umano”. Questo compito già vi vede all’opera», suggerisce l’Arcivescovo. Un impegno per il futuro, come dice, nel suo saluto finale don Carròn, che ricorda l’ultima udienza del 6 febbraio scorso concessa dal Santo Padre alla Fraternità dei Missionari di San Carlo Borromeo.
E, alla fine, c’è ancora tempo per un pensiero di condivisione del bisogno del dolore, per un invito alla preghiera, «da curare specie nei piccoli, chiedendo l’umiltà che è di quell’età e di cui il Santo Padre ci ha dato testimonianza. Umiltà che è condizione di libertà da tutto e da tutti, ma soprattutto per tutti e per tutto». Intenzioni, queste – conclude il Cardinale – che raccogliamo nel vincolo di comunione intensissima con il servo di Dio don Giussani».