Sirio 26-29 marzo 2024
Share

Intervista

«Il Papa in periferia
per condividere il dolore»

Monsignor Mariano Crociata suggerisce una rilettura del gesto di Papa Francesco: «Invita ad andare oltre gli schemi, i preconcetti e le abitudini, per vedere la nuda umanità e la cruda sofferenza che tocca tutti»

a cura di Luigi CRIMELLA Agenzia Sir

8 Luglio 2013

Il viaggio a Lampedusa «è il primo gesto che si rivolge alle “periferie”. Il Papa ha parlato di periferie, ma non ne parla soltanto, ci “va”. E credo che nell’Italia e nell’Europa di oggi non ci sia più periferia della periferia di Lampedusa, non solo geograficamente, ma umanamente, socialmente e storicamente». Così monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha commentato la visita lampo di Papa Francesco nell’isola.

Il Papa questa mattina a Lampedusa ha parlato del rischio di «globalizzazione dell’indifferenza». È proprio così? Il popolo italiano è forse diventato “indifferente”?
Non tradurrei il pensiero direttamente in questi termini. Il Papa coglie davvero nel segno perché non c’è dubbio che tendenzialmente l’opinione pubblica, presa da tanti problemi e difficoltà dovuti anche alla crisi economica oltre che a una cultura purtroppo segnata dal consumismo e dall’edonismo, tende in linea prevalente all’assuefazione rispetto alle notizie di drammi umani in generale, e in modo particolare di quelli che toccano gli immigrati. Dire che gli italiani siano diventati indifferenti è riduttivo e improprio. L’orientamento generale della cultura lo dobbiamo stigmatizzare, ma le manifestazioni di generosità e di accoglienza, a partire proprio dagli abitanti di Lampedusa, sono consistenti e sono molteplici. Il dramma invece è di tipo spirituale e culturale, nel senso che c’è un clima generale ben definito dalla formula coniata dal Papa: «globalizzazione dell’indifferenza». È un clima che porta a farsi prendere dalle proprie preoccupazioni e dai propri problemi e infine a rassegnarsi o giustificarsi nel rinunciare a pensare a coloro che stanno peggio di noi o a coloro che addirittura vivono drammi estremi. Se consideriamo soltanto i morti in mare nel tentativo di raggiungere le nostre coste e i paesi europei, direi che le parole del Papa e il suo gesto hanno colto nel segno, hanno toccato un punto delicato della situazione spirituale e della coscienza contemporanea. E perché no, anche della situazione sociale e morale del nostro Occidente.

Il Papa ha detto che «si è perso il senso del piangere» sui drammi degli altri, su quelli collettivi, sui problemi degli ultimi. Quale insegnamento ne viene?
Colpiscono la profonda partecipazione e il coinvolgimento personale da parte del Papa. Con la sua sensibilità ha mostrato cosa significa non diventare preda dell’indifferenza. L’aver evidenziato con un gesto profetico il tema del pianto, come incapacità di piangere con gli altri, è particolarmente suggestivo ed espressivo di una visione penetrante della condizione umana, spirituale e morale del nostro tempo. Di fatto tutta la visita si è svolta all’insegna di un senso profondo di partecipazione, condivisione, compassione, di sofferenza con coloro che soffrono e di dolore e penitenza per  le vittime di questa ricerca disperata di una migliore condizione di vita, come del resto espresso dalla liturgia e dai suoi segni. La lezione è che di fronte a quello che sta succedendo noi non possiamo stare con le mani in mano, non possiamo rimanere insensibili, non possiamo trincerarci dietro la giustificazione che abbiamo i nostri problemi da risolvere, perché i problemi si risolvono insieme. È inoltre importante rilevare come la gestione di tanti nostri problemi genera ripercussioni negative nei paesi più poveri. Siamo così invitati a riscoprire la responsabilità che abbiamo tutti, i cittadini e anche coloro che hanno autorità più o meno grandi sul piano pubblico, delle conseguenze delle nostre decisioni. Conseguenze che toccano, attraverso le nostre scelte economiche e politiche, il destino di tanta gente, talvolta di popoli interi.

Il filo conduttore di tanti interventi del Papa è quello della “tenerezza”, dell’accoglienza, quindi di un clima improntato non solo a valori religiosi ma anche a valori umani semplici, genuini e cordiali. Questo a cosa fa pensare?
Innanzitutto a una dimensione della fede veramente compiuta e matura, perché questo valore della tenerezza, che è genuinamente umano, è qualcosa che in realtà è singolarmente congeniale alla fede cristiana, quando essa ha raggiunto una sua maturità. Qui vorrei dire la sintonia con l’enciclica Lumen fidei, che non è data solo dalla contiguità temporale tra la sua pubblicazione e questa visita, ma è più profonda e più intima. Come il Papa ci dice nell’enciclica, la fede mostra la sua autenticità e verità quando diventa gesto, attenzione all’altro, testimonianza e solidarietà. Di più: dice che la fede ha bisogno di luoghi, crea e riconosce i suoi luoghi. E Lampedusa è diventata in questo senso uno dei luoghi della fede. E qui si coglie anche il senso così profondo del gesto del Papa, che nel mostrare attenzione nei confronti degli ultimi, si fa espressione di una fede viva, attenta, una fede “sveglia”. Coglie ciò che altri magari non riescono più a vedere, quindi è espressione della capacità di questo Papa di concentrarsi sull’essenziale che è nello stesso tempo concentrarsi sulla fede autentica e sull’umanità dolente.

C’è il rischio che questo gesto così altamente simbolico del Papa venga strumentalizzato sul piano politico?
Certo, non si può escludere. Sappiamo molto bene come la questione dell’immigrazione sia stata al centro di controversie politiche da non pochi anni, che purtroppo l’hanno ridotta a mero strumento di lotta politica. Il Papa credo che si sottragga a tale rischio per il senso del gesto in sé e per lo stile con cui lo ha compiuto, dal momento che si è posto su un piano umano e credente. Invita ad andare oltre tutti gli schemi, i preconcetti e tutte le abitudini, per vedere la nuda umanità e la cruda sofferenza che tocca tutti, al di là delle appartenenze e degli interessi politici. Quindi è importante mostrare, a chi volesse strumentalizzare politicamente questo gesto, il suo valore trasversale ed universale. Non un gesto di parte, dunque, non strumentale o funzionale ad altri obiettivi, ma che ha in sé il suo fine. Il fatto che abbiamo problemi e che vediamo la loro soluzione in un senso o in un altro dal punto di vista delle dinamiche socio-politiche, non ci esonera dalla responsabilità di essere vicini, compatire e aiutare chi sta peggio di noi, soffre e mette a repentaglio la propria vita.

Da questi primi mesi di pontificato si può dire che emerga un insegnamento non nuovo, magari diverso nel taglio, per tutto ciò che riguarda l’impegno dei credenti nel campo sociale e politico?
Sono profondamente convinto di questo e direi che sono nuovi gli accenti, nuovo lo stile. Non è il quadro della fede, della dottrina e dell’azione pastorale della Chiesa che viene modificato, ma sono gli accenti che vengono posti e orientati in maniera diversa. Bisogna porre attenzione, come è stato peraltro sottolineato da tante parti, al fatto che questa è la ‘prima visita’ fuori Roma, in un certo senso di livello internazionale. È il primo gesto che si rivolge alle “periferie”. Il Papa ha parlato di periferie, ma non ne parla soltanto, ci “va”. E credo che nell’Italia e nell’Europa di oggi non ci sia periferia “più periferia” di Lampedusa, non solo geograficamente ma umanamente, socialmente e storicamente. Credo sia persino presto per capire tutta la portata di un gesto come questo, anche per lo stile con cui è stato compiuto, uno stile “fuori”, non “contro”, le ufficialità istituzionali. Un gesto concentrato nella dimensione umana, come se il Papa dicesse: vengo da padre verso i figli, da fratello tra fratelli, da credente tra credenti, per dire il dolore per quanti sono morti in mare e dire che abbiamo bisogno di risvegliare la nostra coscienza e l’attenzione su questo dramma e sull’umanità più sofferente. È un’esigenza che ci tocca tutti e che dobbiamo raccogliere, noi credenti per primi.

Quindi Papa Francesco ci ha lanciato un messaggio preciso?
Direi di sì, rivolto alla Chiesa e mi pare di poter dire a tutto il nostro Paese: consiste nell’invito a dare un ordine concreto alle priorità e alle urgenze, senza peraltro intaccare i principi e i valori il cui quadro rimane stabile e coerente in se stesso, come la Chiesa ce lo consegna e come noi lo trasmettiamo. Esso si concentra su urgenze e priorità umane, caritative e pastorali che non possono essere trascurate, insieme a tutto il resto, nel quadro in cui l’esperienza della fede si compone. Dobbiamo raccogliere questo invito nel portare avanti il nostro impegno pastorale. Dobbiamo farlo anche sul piano ecclesiale. C’è un esame di coscienza da compiere, un coinvolgimento da accogliere e un cammino da intraprendere sotto la guida di Papa Francesco.