Giovedì santo, giornata per l’Opera Aiuto Fraterno, in ogni Chiesa della Diocesi, durante la Santa Messa vigiliare in Coena Domini il ricavato della colletta tra i fedeli viene interamente destinato all’assistenza e alla cura dei sacerdoti anziani e ammalati, attraverso la Fondazione Opera Aiuto Fraterno. Il vice presidente di questa istituzione, don Tarcisio Bove, offre elementi per una conoscenza più approfondita della condizione odierna del clero ambrosiano.
I numeri offrono elementi per una conoscenza più chiara della nostra condizione odierna e per una proiezione prospettica nel futuro.
L’età media del clero ambrosiano, 61 anni, non descrive né le poche decine dei giovani presbiteri ordinati negli ultimi anni, né i 41 ultranovantenni che da tempo hanno festeggiato il loro 50°. Il dato tuttavia è utile e consente a ognuno di noi di collocarsi tra le due ali estreme del presbiterio milanese e immaginare affinità e diversità. Altri elementi sono meno reperibili, anche se altrettanto utili per valutarci nell’oggi e proiettarci nel domani. Sono i dati riferiti ai bisogni considerati primari, alle preoccupazioni economiche o di salute, alle condizioni abitative e di socializzazione: informazioni di non facile reperimento, legati talvolta alla confidenza ricevuta da un confratello e ignoti a un pubblico più vasto. Tali dati, tuttavia, sono affiorati nel corso della ricerca per cui siamo stati interpellati tre anni fa insieme con i presbiteri delle altre Diocesi della regione. Si tratta del lavoro commissionato dai Vescovi lombardi all’Università Cattolica e realizzato dal Dipartimento di Sociologia con l’ausilio della Fondazione Opera Aiuto Fraterno: «La vecchiaia che vorrei».
Riguardo alle esigenze dei sacerdoti, tre considerazioni alla luce dei dati.
La prima: la richiesta di formazione permanente in termini spirituali e culturali appare la più avvertita e diffusa nel clero fino ai 75 anni, e anche dopo le dimissioni dagli incarichi pastorali conserva un interesse che supera quello per un meritato riposo.
La seconda: il confronto con i confratelli sta al secondo posto tra i desideri più vivi, cala con l’avanzare dell’età, ma anche dopo i 75 anni resta tra le aspettative maggiori, insieme alla richiesta formativa.
La terza: la preoccupazione per la propria sicurezza economica è all’ultimo posto e con l’avanzare dell’età decresce. Con buona probabilità il sistema di sostentamento e di previdenza, insieme con la contribuzione delle parrocchie e le garanzie assicurative per gli eventi di salute, già sperimentate nella loro efficacia nel corso degli anni, è sufficiente a far prevedere, insieme con gli altri apporti su cui il presbitero può far conto, una vita sobria e dignitosa, tanto da considerare non tra i bisogni primari eventuali accantonamenti. Ad attestare questa ipotesi di lettura stanno altri dati desunti dalla stessa ricerca: la maggior parte dei presbiteri considera sufficiente (54.4%) o più che adeguata (30.3%) l’attuale forma di sostentamento; una minoranza la ritiene appena sufficiente (12.8%) o insufficiente (2%).
Inoltre, nel corso della ricerca, sono state rivolte ai sacerdoti domande per confrontare le loro reali condizioni di salute con il grado di percezione che ne hanno. I presbiteri tendono a sminuire, a non lasciar prevalere una tendenza pessimistica sulle loro condizioni generali, anche quando il quadro clinico si presenta obiettivamente sfavorevole. Persino il timore di future malattie è decisamente limitato; è pur vero che il grado di serenità diminuisce con l’avanzare dell’età, ma il gruppo degli ultra 75enni appare dalla ricerca il più numeroso nell’esprimere la certezza di ricevere cure e assistenza adeguata.
Un dettaglio maggiore sui presbiteri milanesi è possibile raccoglierlo dai dati che riportano il modo e il luogo dove i preti lombardi desidererebbero trascorrere la vecchiaia. Il 39% degli intervistati fino a 60 anni vorrebbero vivere in un contesto comunitario; il dato cala al 25,6% nella fascia di età tra i 61 e i 74 anni. Il desiderio di vivere a casa propria, ma con un’assistenza domiciliare cresce dal 27,6% (fino ai 60 anni) al 29,5% (tra i 61 e i 74 anni). È da precisare che per contesto comunitario non si intende qui una comunità parrocchiale, quanto piuttosto un gruppo di confratelli; così pure per assistenza domiciliare si intende principalmente qualcuno che aiuti nelle faccende domestiche.
Un altro dato della ricerca ci fa cogliere che il 76% del clero ambrosiano di età più giovane desidera per il proprio futuro da anziano restare in contatto con altri confratelli in servizio pastorale; solo l’8.8% prospetta di ritirarsi in luoghi più isolati e il 4.1% essere in contatto con altri sacerdoti non più in servizio pastorale. Il 22.9% degli stessi intervistati dichiara di voler continuare il rapporto con i fedeli che hanno già servito nel corso del loro ministero, mentre il 30.7% si dice propenso a collaborare in contesti pastorali nuovi, con nuove relazioni.
Si intuisce così il desiderio dei presbiteri di essere ancora attivi dopo i 75 anni. Se qualche timore si manifesta nell’avanzare dell’età, non è tanto per l’inevitabile verificarsi di qualche malattia, quanto piuttosto per la perdita di autonomia e il conseguente cambiamento di vita.
Da questa indagine emerge il profilo di un presbitero che manifesta il desiderio di vivere in pienezza la propria scelta vocazionale, anche nell’età della vecchiaia. Da qui la necessità, soprattutto nell’età che avanza, di corrispondere – a questa aspettativa di relazioni, spiritualità e formazione – un aiuto nelle forme adeguate, con sostegni economici, di assistenza e di cura, sempre più necessari in ragione del numero crescente dei presbiteri anziani. Ma tutto ciò può scaturire unicamente da un clima, che molti tra noi già coltivano, di assiduità fraterna verso i confratelli più anziani e dalla sensibilità che siamo in grado di ravvivare in noi stessi e nei fedeli delle nostre comunità.