Presiede la celebrazione eucaristica in quella che definisce «chiesa a cielo aperto», sul piazzale gremito del Cimitero Monumentale di Milano. È l’ora dei primi vesperi della giornata che la Chiesa dedica alla commemorazione dei defunti, con una luce che scende calda, illuminando i colori autunnali di fiori e alberi, delle pietre e dei marmi. Tante persone si fermano, ascoltano la parola del cardinale Scola. Iniziata da pochissimo la Messa, già non bastano le sedie: la gente si affolla anche dalle scale che portano ai corridoi storici superiori, occupa tutte le panche della vicina cappella e, anche se non vede, segue attenta.
E l’Arcivescovo, circondato dai concelebranti, invita così a «riannodare più consapevolmente il filo che ci lega ai nostri cari passati all’altra riva». Il pensiero, come già nel Pontificale di Ognissanti in Duomo, va alla comunione dei santi, «espressione di grande verità cristiana e certezza che mai si rompe: il nostro legame con i defunti grazie al sacrificio di Cristo che, morto e risorto, ha reso la vita eterna una realtà unica con quella qui sulla terra». E del legame che costruisce « un amore oggettivo ed effettivo» parla ancora il Cardinale: «I santi e beati e tanti dei nostri cari che non ci sono più ci accompagnano quotidianamente e realmente con la preghiera e l’affetto nel nostro pellegrinaggio terreno. Questo è un legame vivo, senza andare a cercare metodi e mezzi astrusi che pretenderebbero con meccaniche e magie di metterci in contatto con i nostri morti», scandisce.
Se il senso di questo dialogo senza parole è quello «di intensi affetti», allora, visitare le sepolture non significa «una nostalgia rivolta al passato, ma indica la speranza sicura di rivedere i nostri cari». Una sicurezza che – pare suggerire l’Arcivescovo – non si esaurisce uscendo dai cimiteri, ma che deve vedersi nel presente, «altrimenti daremmo ragione a coloro che pensano che i cristiani siano pusillanimi, gente che ha paura della morte, che non si rassegna a morire e inventa la favola della risurrezione». «No, non è così», è la risposta ferma del Cardinale, nel silenzio profondo che accompagna le sue espressioni.
Insomma, non si tratta di sperimentare «un ricordo sentimentale, ma di comprendere a pieno la tensione alla vita buona di cui abbiamo così bisogno sia a livello della comunità ecclesiale, sia di società civile». Necessità urgente «per le nostre personali fragilità, talora per i peccati, perché la comunione nelle comunità cristiane documenti la presenza reale di Gesù, perché la società, percorsa come tutto il mondo da un gravissimo travaglio, possa trovare un punto di riferimento esemplare nei santi beati e anche nei nostri cari che hanno affrontato con verità la vita». E tutto questo, perché prenda il via una riscossa autentica e la speranza torni ad alimentare le nostre giornate. «Perché la carità che si dilata venendo incontro a tutti, a partire dai popoli che più sono nel bisogno, dagli ultimi, da chi è in guerra, si documenti come un principio di costruzione di civiltà».
Il riferimento è al Vangelo delle Beatitudini appena letto, «paradossale nel modello che propone, descrizione della figura di Gesù stesso, promessa di felicità duratura che ci fa comprendere la giustizia di un “al di là” dove chi ha detto il suo “sì” a Cristo, possa trovare il compimento totale di sé. Da qui, in conclusione, il valore della commemorazione come aiuto a riconoscere il senso della vita, ritrovandone la direzione: «Venire qui oggi significa accettare una provocazione, un pro che indica un oltre e una vocazione, una chiamata, dunque, che viene dall’al di là».
E infine l’appello: «Che questa eucaristia passi nel quotidiano, cambi il nostro modo di amare, di lavorare, di riposare». Allora «visitare il cimitero, porre un fiore sulle tombe, radicarci in questo grande luogo milanese, di memoria e di arte e di storia, non sarà una parentesi, ma il richiamo a un nuovo stile di vita, di conversione e tensione al vero bene».
E, nella sera che scende, dopo la fine della celebrazione e il saluto dei moltissimi che gli stringono intorno, l’omaggio a Manzoni nel Famedio («ha ancora tanto da insegnare anche oggi») e la sosta nella preghiera – breve, ma intensissima – davanti alla tomba di don Luigi Giussani.