“Non siete né abbandonati, né inutili: voi siete chiamati da Cristo, voi siete la sua trasparente immagine”. A ripeterlo ai malati, usando le parole dei Padri del Concilio, è il Papa, nel Messaggio per la Giornata a loro dedicata, che si celebrerà l’11 febbraio, sul tema: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37). «Mi sento particolarmente vicino a ciascuno di voi – esordisce Benedetto XVI – che, nei luoghi di assistenza e di cura o anche a casa, vivete un difficile momento di prova a causa dell’infermità e della sofferenza». Nel messaggio, il Papa si sofferma sulla «figura emblematica» del Buon Samaritano, che «indica qual è l’atteggiamento che deve avere» ogni discepolo di Cristo «verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura». «Attingere dall’amore infinito di Dio – il suggerimento del Santo Padre – attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto o privo di risorse». Come fa Gesù, che «si china, pieno di misericordia, sull’abisso della sofferenza umana, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza». Di qui l’invito a vivere l’Anno della Fede come «occasione propizia per intensificare la diaconia della carità nelle nostre comunità ecclesiali, per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro, verso chi ci sta accanto».
Trovare senso al dolore
La parabola evangelica narrata da Luca, ricorda il Papa, «si inserisce in una serie di immagini e di racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuol far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore». L’esempio del Buon Samaritano, commenta Benedetto XVI, «vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede». «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo – spiega il Santo Padre citando la Spe salvi -, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore». «Vari Padri della Chiesa – annota il Papa – hanno visto nella figura del Buon Samaritano Gesù stesso, e nell’uomo incappato nei briganti Adamo, l’umanità smarrita e ferita per il proprio peccato. Gesù è il Figlio dio Dio, Colui che rendere presente l’amore del Padre, amore fedele, eterno, senza barriere né confini. Ma Gesù è anche Colui che si spoglia del suo abito divino, che si abbassa dalla sua condizione divina, per assumere forma umana e accostarsi al dolore dell’uomo, fino a scendere negli inferi, come recitiamo nel Credo, e portare speranza e luce».
Valorizzare la sofferenza
Nella seconda parte del Messaggio, il Papa segnala «alcune figure, tra le innumerevoli della storia della Chiesa, che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale». Santa Teresa del Bambino Gesù, che seppe vivere «in unione profonda alla Passione di Gesù» la malattia che la condusse «alla morte attraverso grandi sofferenze»; Luigi Novarese, che «avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei santuari mariani, in speciale modo alla grotta di Lourdes». «Mosso dalla carità verso il prossimo – prosegue Benedetto XVI -, Raoul Follereau ha dedicato la propria vita alla cura delle persone affette dal morbo di Hansen sin nelle aree più remote del pianeta, promuovendo tra l’altro la Giornata Mondiale contro la Lebbra». Madre Teresa di Calcutta «iniziava sempre la sua giornata incontrando Gesù nell’Eucaristia, per uscire poi nelle strade con la corona del Rosario in mano ad incontrare e servire il Signore presente nei sofferenti, specialmente in coloro che sono “non voluti, non amati”». Infine, Sant’Anna Shäffer di Mindelstetten, che «seppe, anche lei, in modo esemplare unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo».
Accogliere
Il Messaggio si conclude con un pensiero di «viva riconoscenza e di incoraggiamento alle istituzioni sanitarie cattoliche e alla stessa società civile, alle diocesi, alle comunità cristiane, alle famiglie religiose impegnate nella pastorale sanitaria, alle associazioni degli operatori sanitari e del volontariato». «In tutti – l’auspicio del Papa, citando la Christifideles laici di Giovanni Paolo II – possa crescere la consapevolezza che nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione».