Un esito elettorale che ha creato sconcerto e preoccupazione. Il referendum indetto da partiti di destra per porre un limite al lavoro straniero nella Confederazione elvetica in Canton Ticino ha registrato un ampio consenso: il «sì» ha vinto con il 68% dei suffragi. Mentre a livello nazionale è passato per poche migliaia di voti. Uno “stop” che va a colpire anche i 60 mila frontalieri italiani che ogni giorno vanno oltre confine per lavorare. Tutto questo avviene mentre morde la crisi economica, le industrie ormai hanno chiuso i battenti e crescono le difficoltà a trovare un nuovo posto di lavoro.
Una situazione comune in tutto il Paese, anche nel territorio al confine con la Svizzera. E la Chiesa di confine si sta mobilitando. «Per adesso sembra che non ci siano conseguenze immediate, il lavoro terrà per chi ce l’ha… – commenta don Piergiorgio Solbiati, decano di Luino -. Ma è importante considerare che gli italiani in Ticino non svolgono solo lavori di manodopera: ci sono anche imprese che preferiscono organizzare le proprie attività oltre confine per usufruire di maggiori agevolazioni fiscali…».
Nel Luinese il fenomeno del lavoro oltre frontiera è molto sviluppato: alcune stime – ma si tratta di dati ancora da verificare – parlano di circa 6.000 persone coinvolte. Fino a dieci anni fa, in effetti, in questo territorio erano attive molte aziende tessili, ma oggi non è rimasto più nulla. «Per sensibilizzare le istituzioni abbiamo anche inviato una lettera a tutti i sindaci della zona – aggiunge don Solbiati -. Per il momento non ci sono grossi problemi, ma la realtà occupazionale non è delle più rosee». Molti giovani, per esempio, escono dai Centri di formazione professionale dove hanno acquisito competenze per diventare falegnami, parrucchieri e così via; ma non trovano nessuno disposto ad assumerli. I contratti di apprendistato, infatti, sono troppo carichi di burocrazia e suscitano ancora molte perplessità. «Abbiamo chiesto anche alle associazioni di categoria di farsi parte attiva in questa situazione – sottolinea don Solbiati -. In particolare sono due gli interventi che potrebbero essere significativi: in primo luogo, utilizzare i voucher dell’Inps per prendere alcuni ragazzi e, almeno, permettere loro di imparare il mestiere per cui hanno studiato; secondariamente, sostenere iniziative di microcredito».Di questa seconda iniziativasi sta occupando il gruppo socio-politico attraverso il “Prestito della Speranza” realizzato dalla Cei e dall’Abi.
Una situazione già critica, dunque. E se domani dovessero aggiungersi anche i trasfrontalieri i problemi diventerebbero davvero grossi. «In questo territorio ci sono poche possibilità: è difficile ricollocarsi», rileva don Franco Bianchini, parroco di Maccagno e responsabile della Caritas di Luino. Per il momento, fortunatamente, ci sono ancora persone che non si accorgono della crisi e si sentono tranquille nella loro posizione. Tra quanti lavorano in Svizzera ci sono artigiani, impiegati, esperti di tecnologie informatiche. Ma il costo della vita è alto, così come quello degli affitti. Ci sono già parecchie persone da assistere, anche se non mancano le iniziative. «Le parrocchie fanno del loro meglio per affrontare le difficoltà poste dalla crisi economica – aggiunge don Bianchini -. A livello di Caritas c’è notevole disponibilità a intervenire per andare incontro a chi si trova in difficoltà: molte persone, per esempio, ricevono un aiuto per pagare le bollette della luce o del gas. Ma non so fino a quando si riuscirà ad andare avanti…».
C’è chi, infine, viene in questo territorio alla ricerca di un’occupazione, oppure persone alle quali non viene rinnovato il contratto di lavoro. A Luino un punto Caritas offre ospitalità notturna, mentre a Maccagno l’accoglienza arriva fino a un mese, un mese e mezzo. «Spesso, a trascorrere un periodo in queste strutture, è chi ha un contratto di locazione a termine», conclude don Bianchini.
Meno preoccupato appare invece don Angelo Viganò, responsabile della Comunità pastorale di Porlezza, paese che si affaccia sull’estremo golfo orientale del lago di Lugano. Una enclave ambrosiana in provincia di Como, dove moltissimi lavoratori frontalieri ogni giorno fanno la spola con la Svizzera. «Qui la situazione è piuttosto tranquilla – spiega don Angelo -. Ho parlato proprio nei giorni scorsi con un operaio che lavora come transfrontaliero e che mi ha detto che la legge d’oltreconfine prevede che nelle fabbriche venga garantita la presenza di un certo numero di svizzeri; in ogni caso, ha aggiunto, per certi lavori di manovalanza o come quelli di pulizie, non riuscirebbero a trovare nessuno. Non penso quindi che in futuro chi lavora lì avrà grandi problemi…».