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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Dalla Cei

Fondi 8xmille in Kurdistan

Una serie di interventi a favore della popolazione sfollata più vulnerabile. Parla Terry Dutto (Focsiv) che coordina il progetto

di M. Chiara BIAGIONI

6 Marzo 2017

Il tempo per i rifugiati a Erbil è sospeso. Tra il desiderio di tornare a casa e la paura di farlo. Tra la fatica di ripensare a una vita futura guardando avanti e la prospettiva di rifare i pochi bagagli e tornare indietro. A raccontare lo stato d’animo delle famiglie che vivono nei campi profughi di Erbil è Terry Dutto, operatore della Focsiv (Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario) che nella città irachena vive dal 2014 per coordinare progetti e iniziative di aiuto alla popolazione. «Da lì poi ci si muove nei dintorni, a Qaraqosh, Mosul, Kirkuk dove c’è una postazione non ancora lasciata dall’Isis».

La presenza della Focsiv in Kurdistan è sostenuta ora grazie anche ai fondi 8xmille per la Chiesa cattolica. Nell’ultima riunione, il Comitato per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo della Cei (Conferenza episcopale italiana) ha deciso di devolvere parte della cifra (un totale di 18 milioni di euro per 119 progetti nel mondo) a una serie di interventi in Kurdistan a favore della popolazione sfollata più vulnerabile: bambini, anziani, disabili, donne, malati cronici. I fondi verranno gestiti dalla Focsiv che in Kurdistan ha avviato da tempo un progetto articolato di aiuti in varie città: a Erbil nei campi attrezzati di Ainkawa e Ashti; nella provincia di Kirkuk distribuendo a circa 300 famiglie un pacco mensile di cibo e latte in polvere per i neonati e, infine, ad Al Kosh, cittadina isolata e in gravissima difficoltà.

Sono oltre 40 mila gli sfollati nel Distretto di Ainkawa (provincia di Erbil), in gran parte della Chiesa caldea della Piana di Ninive, oltre ad altri 10 mila yazidi provenienti dalle montagne nella zona di Sinjar. Nel campo attrezzato sono presenti più di mille container forniti di acqua potabile e di fognatura. E sono ospitate circa 1.200 famiglie, pari a circa 6 mila persone, con oltre il cinquanta per cento di giovani. «I container – racconta Terry – sono diventati ormai delle casette: le persone che ci abitano, tentano un radicamento ma è una condizione di vita che può essere solo temporanea. Il fatto però di stabilirsi, fa sentire a casa».

La maggior parte delle persone vengono da Qaraqosh, la città cristiana più importante dell’Iraq che contava più di 60 mila abitanti. Ora è una città fantasma. È stata occupata per due anni dalle bandiere nere dell’Isis. Nominata capoluogo dello Stato islamico per la Piana di Ninive, è stata liberata a fine ottobre. «Siamo andati a Qaraqosh – dice Terry – ma non è rimasto molto. Le case sono state saccheggiate, bruciate, bombardate. Ogni cosa non trasportabile è stata distrutta. Nei negozi hanno fatto scoppiare bombole di gas. I bombardamenti hanno lasciato un mucchio di macerie. Non c’è energia elettrica né acqua. È impossibile viverci».

Ci sono tentativi di ritorno. Infatti, non tutti hanno la possibilità di migrare all’estero ospiti di parenti e l’unica prospettiva è allora quella di tornare a casa, ma il rientro è difficile, attualmente impossibile. «La gente non si sente sicura. La speranza c’è ma finché non è garantita la sicurezza, le persone non si muovono. E poi ci sono i giovani che sono arrivati qui quando avevano 7/8 anni. Loro dicono addirittura di voler rimanere a Erbil perché si sentono ormai parte di questa città».

Gli uomini sono quelli che risentono di più il colpo duro del cambiamento: senza più lavoro, soldi, casa, hanno perso la loro funzione di capo famiglia. Chi resta punto di riferimento per la famiglia sono le donne. «Se vogliamo organizzare qualcosa nel campo – racconta Terry – chiamiamo loro».

All’interno del campo, Focsiv ha realizzato “Hope Center – Centro Speranza”, uno spazio attrezzato dove i volontari offrono una serie di attività: gli asili, un centro di arti marziali, una grande aula completamente attrezzata per interventi formativi di diverso genere, un campo di calcio e pallavolo che coinvolge 250 giovani.

I discorsi e i racconti che si ascoltano nei campi fanno venire «i brividi alla schiena», confessa Terry. Non è facile seguirli. «Ricordo un gruppo di bambine di 8 e 10 anni che hanno cominciato a chiacchierare con una nostra assistente. Le raccontavano quanto erano cattivi quelli dell’Isis. Avevano visto tagliare la testa a una persona solo perché stava fumando. Colpire di botte un uomo fino a rompergli le gambe perché aveva preso le difese di una donna. Questi bambini hanno subito un trauma. Lo vedi, lo senti. Hanno vissuto esperienze brutali e tu non sai che effetto avranno su di loro. Sai solo che quando vai e li fai giocare, disegnare, parlare, vedere un film, doni momenti di serenità che cambiano loro la vita almeno per quell’istante, ridiventano bambini almeno per un breve spazio di tempo, ritorna il sorriso, scoprono l’amicizia». Una goccia in un mare di dolore. «È vero, è solo una goccia. Ma noi non possiamo sapere che effetto può avere una goccia. Sappiamo che se non ci fosse questa goccia, sarebbe un mondo più buio, un mondo in cui i bambini sono lasciati soli e imparano solo ad essere violenti e aggressivi».