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Liturgia

Essere i figli del Regno

Sono coloro che sanno intraprendere un serio cammino di conversione disponendosi ad accogliere il Signore. La parola severa di Giovanni Battista invita a un deciso cambiamento di mentalità

di Luigi NASON

17 Novembre 2011

Nella successione delle Domeniche, la liturgia d’Avvento rinnova l’aspirazione d’Israele e dell’intero creato alla salvezza, riproponendo le parole degli antichi profeti fino all’annuncio di Giovanni Battista» (Premesse al Lezionario ambrosiano, n. 102). La Parola proclamata in questa II domenica pone come centrale il tema del Regno di Dio: «In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”» (Vangelo: Mt 3,1-12). Nell’intenzione del Lezionario, la pagina evangelica vuole richiamare in modo particolare il senso del nostro essere figli del Regno. L’Avvento è tempo di attesa, di conversione e, insieme, di viva e gioiosa speranza: «Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri. Io, io sono il vostro consolatore» (Lettura: Is 51,7-12a). È il tempo dei figli in cammino verso il Regno, che, come ci ha ricordato la liturgia della prima domenica, si compirà alla fine della storia con la venuta gloriosa del Signore, ma che già ora si manifesta in mezzo a noi.

«Ispira alla tua famiglia, o Dio onnipotente, il proposito santo di andare incontro con operosa giustizia al Salvatore che viene perché meriti con i tuoi eletti di possedere il regno dei cieli»: è la preghiera che introduce e illumina la liturgia domenicale. Il Regno non è una conquista personale o un diritto frutto di rivendicazione. Essere “figli del Regno” significa accogliere il dono di Dio che ci precede e prescinde dall’appartenenza carnale, persino per «il popolo che porta nel cuore la sua legge» (cf Lettura: Is 51,7): «Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo» (Mt 3,8-9). Veri “figli del Regno” sono coloro che sanno intraprendere un serio cammino di conversione disponendosi ad accogliere il Signore: «Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno» (Epistola: Rm 15,15-21 che cita Is 52,15), perché «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (canto al Vangelo).

La parola severa di Giovanni Battista ci invita a un deciso cambiamento di mentalità, per superare ogni falsa sicurezza in ordine alla salvezza offerta dal Signore. La conversione è l’impegno che si accompagna al dovere della vigilanza e i figli possono comprendere la realtà del “Regno” solo alla sequela di Gesù. In questo senso acquista un significato più profondo la stessa invocazione della preghiera del Signore «venga il tuo Regno»: il Regno «è una realtà intima del cuore, che tuttavia conquista l’universo mediante il cambiamento della vita che essa produce» (Carlo Maria Martini).

Illuminati dalla liturgia di questa domenica, siamo quindi chiamati a riconoscere il primato di Dio che accoglie, giustifica e rinnova l’uomo schiacciato dalla propria debolezza: «Nell’umanità del suo Figlio, (il Padre) hai ricreato l’uomo (…); dalla carne di Cristo il (suo) amore infinito ci ha riplasmato alla vita» (prefazio).

Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato

Nei giorni feriali prosegue la proclamazione del Vangelo secondo Matteo, preceduta da due letture tratte dal Primo Testamento, rispettivamente dal libro di Ezechiele (cc. 4-7) e dal libro dei Dodici profeti (Gioele, Abdia, Aggeo, Malachia). Il profeta Ezechiele è chiamato a «portare le iniquità» del popolo, accettandone responsabilità e conseguenze: difficile non cogliere in questa espressione un legame con il quarto canto del servo del Signore (Is 53,7.11-12). La dura condanna cui è sottoposto racchiude però un segnale positivo: la sua condanna, e dunque l’esilio del popolo, ha un termine. Le parole di giudizio, con il caratteristico stile profetico, denunciano il delitto e annunciano il castigo. Due i delitti denunciati: «Perciò, dice il Signore Dio: Poiché voi siete più ribelli delle nazioni che vi circondano, non avete camminato secondo le mie leggi, non avete osservato le mie norme…» (Ez 5,7 – martedì) e «Com’è vero che io vivo, oracolo del Signore Dio: poiché tu hai profanato il mio santuario con tutte le tue nefandezze e con tutte le tue abominazioni…» (Ez 5,11).

Delitto e castigo sono un linguaggio frequente nei profeti per esprimere che il peccato ha dentro di sé il suo castigo: i mali che causa lo evidenziano drammaticamente. L’ira del Signore è un’immagine antropomorfica con cui il linguaggio biblico sottolinea il suo amore “geloso” per Israele: un amore autentico ed esigente, che reagisce con passione di fronte alla radicalità del male che Egli non può sopportare: «Allora darò sfogo alla mia ira…: allora sapranno che io, il Signore, avevo parlato con sdegno (letteralmente, “con gelosia”), quando sfogherò su di loro il mio furore» (Ez 5,13); «Ecco la fine: essa giunge sino ai quattro estremi della terra… Ora, fra breve, rovescerò il mio furore su di te, e su di te darò sfogo alla mia ira, per giudicarti secondo le tue opere e per domandarti conto di tutti i tuoi abomini… È giunto il tempo, è vicino il giorno…» (Ez 7,1-14 – venerdì).

I capitoli 6-7 sono scanditi per sette volte dall’espressione tipica di Ezechiele «saprete/sapranno che io sono il Signore». Essa indica con chiarezza il fine delle parole di giudizio: che Israele finalmente capisca, abbandonando l’idolatria, chi è il Signore, l’unico vero Dio.

Anche se il tono di giudizio prevale in questi testi, non manca un orizzonte di speranza, soprattutto nei testi dei Dodici profeti: «Tuttavia farò sopravvivere in mezzo alle nazioni alcuni di voi… io, infatti, spezzerò il loro cuore infedele, che si è allontanato da me» (Ez 6,1-10 – mercoledì); «Gli esuli… dei figli d’Israele possederanno Canaan fino a Sarepta e gli esuli di Gerusalemme… possederanno le città del Negheb. Saliranno vittoriosi sul monte di Sion… e il regno sarà del Signore» (Abd 1,19-21 – mercoledì); «Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la salvezza… anche per i superstiti che il Signore avrà chiamato». (Gl 3,5-4,2 – lunedì).

Continua, infine, nel Vangelo secondo Matteo l’annuncio del Regno di Dio e delle disposizioni interiori per poterlo accogliere: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta… Nel giorno del giudizio, quelli di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona!» (Mt 12,38-42 – venerdì); «Tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre"» (Mt 12,43-50 – sabato). Sia la liturgia a guidare il cammino di conversione e l’impegno di andare incontro al Signore: «Cerchiamo il Signore, mentre si fa trovare; invochiamolo, mentre è vicino» (antifona ingresso venerdì).

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