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Verso gli altari

Don Pino Puglisi:
la forza della coscienza

Il Papa ha promulgato il decreto relativo al martirio. Monsignor Mogavero, postulatore della fase diocesana della causa di beatificazione: un prete contro la mafia con l’arma dell’educazione

a cura di Mauro UNGARO

16 Luglio 2012

Il 28 giugno Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto relativo al «martirio del Servo di Dio Giuseppe Puglisi, sacerdote diocesano; nato a Palermo (Italia) il 15 settembre 1937 ed ivi ucciso, in odio alla fede, il 15 settembre 1993».

Nominato nel 1990 parroco di San Gaetano, nel quartiere palermitano di Brancaccio, un giorno disse: «È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi». E la sua attività pastorale, di denuncia e di promozione umana, fu il movente per il suo assassinio, i cui esecutori e mandanti mafiosi sono stati arrestati e condannati con sentenze ormai definitive.

Mentre in questi giorni si ricordano Falcone e Borsellino, con tutte le vittime della mafia, di padre Puglisi, del suo impegno specie fra i giovani e di quanto dice oggi la sua testimonianza, abbiamo parlato con monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, che di don Pino è stato amico e quindi postulatore della fase diocesana a Palermo della causa di beatificazione.

Lei ha conosciuto personalmente padre Puglisi. Ce ne può tracciare un ritratto?
Don Pino era una persona assai discreta e non appariscente. Aveva un tratto affabile e di grande impatto umano. Come sacerdote colpiva la sua semplicità, l’intensità della spiritualità, la determinazione. Riusciva molto persuasivo particolarmente con gli adolescenti e i giovani ai quali parlava il linguaggio asciutto della franchezza senza cedimenti.

Cosa ha significato per la Chiesa siciliana la sua testimonianza?
Fino alla sua tragica uccisione nessuno avrebbe pensato che egli avesse potuto imporsi così facilmente all’attenzione e all’ammirazione di tanti. La sua morte ha restituito alla Chiesa siciliana l’immagine del prete che avresti voluto conoscere, magari del prete che hai tante volte incontrato senza forse dargli troppo credito. Egli, nella sua testimonianza martiriale, ci ha offerto l’esempio di un ministero svolto con naturalezza, senza concessioni alla platea, mirato all’essenziale cioè all’annuncio di Cristo fatto giungere al cuore delle persone, specialmente dei fanciulli e dei ragazzi, perché imparassero la via del discepolato vero.

Cosa significa oggi il “sì” della Chiesa alla sua beatificazione?
Proclamare don Puglisi beato significa sostanzialmente due cose. Primo: si diventa santi vivendo con semplicità, coerenza e autenticità la propria vocazione, senza farsi condizionare da coloro che si sentono toccati nel vivo e reagiscono minacciosamente. Secondo: la battaglia contro la violenza delle varie mafiosità e a favore della giustizia merita anche il sacrificio di una vita. Combattere la mafia con le armi dell’educazione a un umanesimo vero e, perché no, cristiano è contribuire a estirpare quella mala pianta che il magistero della Chiesa non ha esitato a definire un vero e proprio cancro. In altre parole, i santi sono la vera minaccia alla mafia e la risorsa più efficace per una sua sconfitta irreversibile.

Cosa rimane della sua opera e del suo sacrificio?
Don Puglisi ha scritto una pagina della storia della Chiesa che non potrà più essere ignorata. Il suo sacrificio, come l’audace parola profetica di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi l’8 maggio 1993, ha segnato un punto di non ritorno per l’abbandono di ogni ambiguità e collateralismo nei confronti delle organizzazioni malavitose.

Lei ha avuto modo di dire che «nella Chiesa ci sono ancora omertà e connivenze con i mafiosi». Perché questo atteggiamento è così difficile da sradicare?
Vincere le incrostazioni di un malcostume che parte da lontano e che non vuol prendere coscienza del carattere immorale della mafia è una fatica lunga. Tuttavia la strada intrapresa è quella giusta e l’intercessione del nuovo Beato sicuramente accelererà i tempi per la diffusione di un nuovo atteggiamento più consono allo spirito evangelico. La mafia non è ancora vinta; ma lo sarà.

Della mafia si parla sempre meno. Pare quasi che, dopo gli anni della risposta forte da parte dello Stato, essa abbia deciso di “abbassare i toni”, di non apparire, continuando a lavorare nel buio…
Gli uomini delle organizzazioni mafiose non sono degli sprovveduti, sanno fiutare bene l’aria che tira. Hanno capito che la stagione stragista non ha pagato perché ha alienato almeno il silenzio omertoso di tanti, oltre che provocare la risposta forte dello Stato che ha reso più impraticabili i disegni malavitosi. Per questo motivo e non per improbabili ripensamenti essi hanno cambiato strategia, lanciandosi in settori nuovi dell’economia da pionieri e controllando taluni gangli della pubblica amministrazione attraverso l’opera di fiancheggiatori insospettabili. Dell’apparente ritirata della mafia bisogna sempre dubitare, perché essa sa adattarsi benissimo alle situazioni e condizioni che mutano per trarre i maggiori profitti peri suoi affari, certamente non filantropici.