«Possiamo immaginare di dare insieme qualche risposta» alle domande poste dalla metropoli. Con questo auspicio l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, ha concluso l’incontro con il Corpo consolare di Milano e della Lombardia, tenutosi lo scorso giugno.
Il primo frutto di tale colloquio, è la recente nomina di don Massimo Pavanello quale delegato diocesano presso il Corpo consolare. Un’attenzione pastorale sia verso le figure apicali, sia verso il personale che opera in tali sedi.
Don Massimo, cosa è stato detto durante l’incontro estivo con l’Arcivescovo?
Monsignor Delpini ha espresso il desiderio di un cammino condiviso tra la diocesi e il Corpo consolare. Questo desiderio è reciproco. Milano è una città che pone molte domande, nella sua complessità e nelle sue trasformazioni continue. Dal polo Mind alla Chiesa dalle genti, per esempio. Il confronto ha fatto emergere la volontà di avviare un dialogo nuovo, capace di generare risposte comuni per il bene della città e delle tante comunità che la abitano.
Qual è il significato di questa nomina inedita?
Attraverso di essa, si vuole favorire un rapporto diretto e stabile tra la diocesi e i consolati. È una figura suscitata proprio dall’unicità del territorio milanese. L’obiettivo è costruire un ponte per aiutare i consolati a orientarsi nella realtà diocesana e allo stesso tempo permettere alla Chiesa di far conoscere, a questo specifico settore, le proprie attività a favore di quanti vivono sul territorio, talune delle quali riguardano anche gli stranieri.
In che senso i consolati contribuiscono a rilanciare Milano nel mondo?
Milano, insieme a rarissime altre, è tra le città non capitali che vantano un numero elevato di consolati. In Lombardia ne abbiamo circa 120, con giurisdizione su più regioni. I consolati rendono Milano un luogo privilegiato di incontro e di relazioni. Nell’assistere i loro cittadini, oltretutto, offrono un servizio che rafforza la sicurezza e la convivenza civile, ha ricordato monsignor Delpini nell’incontro citato. Circa la metà dei consolati lombardi, poi, rappresenta Paesi di tradizione cristiana. Un dato non neutro, in ordine alla Chiesa dalle genti.
Dove la vita della città incontra i consolati?
Avviene più di quanto si pensi. Molti italiani hanno a che fare con i consolati per richiedere visti o documenti necessari per i viaggi. Le famiglie presso cui lavorano badanti o caregiver stranieri, inoltre, sono senz’altro raggiunte dall’eco di iter consolari. E poi ci sono i grandi eventi internazionali – le prossime Olimpiadi invernali ne sono un esempio – che amplificano le relazioni tra città e consolati.
L’Arcidiocesi di Milano lavora già con realtà che presentano profili transfrontalieri?
Diverse sono le attenzioni oramai consolidate. Gli stranieri presenti sul territorio diocesano non coincidono con i soli utenti dei servizi caritativi. Le interazioni sono molto più vaste: catecumenato, scuola/università, migranti, lavoro, missione, ecumenismo, turismo, vita consacrata, oratorio… Aiuterò anche ad orientare i consolati all’interno di questa pluralità ecclesiale.
Quali prospettive apre tale nuovo dialogo tra diocesi e consolati?
Credo che si stia inaugurando un percorso comune fecondo. Mi lascerò guidare dalle opzioni derivate del sinodo minore diocesano, Chiesa dalle Genti, e dalla Fratelli tutti, l’enciclica di papa Francesco sulla fraternità umana. Il mio compito, tuttora in divenire, consiste proprio nel favorire il dialogo, sotto la responsabilità del Moderator Curiae, titolare del dossier.




