In una sera milanese che, per il clima, potrebbe tranquillamente essere Africa, qualche centinaio di giovani provenienti da tutta la Diocesi, si raccolgono, in pieno centro a Milano, sul sagrato della basilica di Santo Stefano.
Ci sono i giovanissimi, i “fratelli” un po’ più grandi, con qualche carrozzina, come la coppia di Melzo che si appresta ad accompagnare i ragazzi dell’oratorio di cui sono stati educatori. Ci sono i tanti colori del mondo che si confondono con i nastri che addobbano la chiesa, con gli striscioni dietro i quali fanno il loro ingresso, nella navata maggiore, i partenti.
L’Africa, l’Asia, le Americhe, l’Europa, l’Oceania sono idealmente tutte presenti come sottolinea, nel suo messaggio di saluto, il vicario generale, monsignor Mario Delpini che, in rappresentanza del cardinale Scola, presiede la Veglia di preghiera dal titolo “Per un’estate missionaria… In tutti i sensi!”, promossa dal Gruppo MissioGiovaniMilano della Diocesi.
«Ringrazio soprattutto voi», spiega monsignor Delpini, in apertura della Celebrazione, rivolgendosi direttamente ai ragazzi che trascorreranno un mese, o più, in terra di missione. E poiché la età media è sui venti-venticinque anni, il pensiero non può che andare alla vacanza “normale” che stanno sospirando milioni di loro coetanei in questi giorni.
«Grazie a voi che passerete l’estate non su una spiaggia o godendo di un panorama di montagna, ma che avete deciso di andare in zone in cui il Vangelo dà i suoi frutti. Sentirci uniti, qui, significa abbracciare tutta la terra, anche se ognuno farà il suo singolo pezzo di cammino».
Si avvia, così – dopo un primo momento dedicato a “Preparare la partenza”– tra canti multilingue (bravissimo il Coro delle Cappellanie etniche di Santo Stefano con altri) e Parola di Dio, l’animazione ispirata al titolo della Veglia e, quindi, al dialogo tra un partente e ciascuno dei cinque sensi.
I luoghi comuni di oggi, la cecità simbolica, e molto concreta, del nostro mondo, l’incapacità di ascoltare la povertà, di sentire, tra tanti sapori a disposizione, il gusto vero di una vita che vive, appunto, non di solo pane, ma di «infinito che comunica il gusto dell’umano», parlano un linguaggio comprensibile immediatamente. Il silenzio e l’attenzione curiosa sui volti dei ragazzi, che probabilmente si domandano – come gli adulti – se siamo davvero tutti così, ne sono la testimonianza evidente.
D’altra parte, “il missionario viaggia con il corpo”, scandisce, nell’omelia, Delpini, dopo aver posto la sua mano benedicente sul capo di ognuno dei giovani, i quali, a loro volta, ricevono il Vangelo e, sul proprio palmo, il segno di una goccia di profumo dai responsabili della Pastorale missionaria, don Antonio Novazzi e Giovanile, don Maurizio Tremolada.
«In tutti i luoghi dove andrete siete già stati. Avete visto filmati, avete visto i luoghi dove abiterete dal satellite, ne avete sentito raccontare, forse da missionari rientrati, forse da gente originaria di quei Paesi, eppure il missionario viaggia con il corpo, non solo con gli strumenti virtuali, và con i cinque sensi, impiega il tempo, ci mette la fatica e la pazienza», invita a riflettere il Vicario generale.
Come a dire: il sole, tutti lo possono vedere in fotografia, un Paese, ciascuno lo può visitare su Internet, «ma il villaggio si conosce solo quando si sentono gli odori, si respira la polvere, ci si intende, non si sa mai come, anche con ragazzi che non parlano nessuna lingua che avete studiato». E non basta: se il missionario viaggia con il corpo, lo fa anche «come corpo».
«La missione è qualcosa a cui ci si consegna, non è l’avventura solitaria di chi cerca un’esperienza bizzarra da raccontare agli amici, non è la visita turistica di chi paga un’agenzia per farsi servire mentre frequenta paesaggi esotici».
Appunto perché è il “corpo” a fare la differenza, come presenza reale della persona e come «compagnia». Per questo – suggerisce, ancora, monsignor Delpini – ci si adatta a persone sconosciute o incontrate solo per frammenti di tempo, perché siamo attratti dalla missione e affascinati dalla possibilità di condividere incontri».
Infatti, non si parte mai soli, ma insieme, per quella “compagnia” che conta più di tutti e che è il Signore. Tanto che «il missionario si unisce al corpo che è la Chiesa che raduna tutti i credenti. È aiutato a “sentirsi Chiesa”: il corpo di Cristo condivide la missione, è il corpo in cui ogni membro, se soffre, tutti soffrono».
E qui il discorso si fa ancora più chiaro, senza sconti “facili” o politically correct: «Chi visita le missioni, parte da una Chiesa per incontrare un’altra Chiesa, non per “andare”, attivare amici o fare beneficenza. Bisogna che ci si stupisca della bellezza, della grandezza, della carità di questo popolo immenso che obbedisce al suo Signore e cerca di praticare il Vangelo. Può essere che si sia sconcertati dalle differenze, sorpresi di come la Chiesa può essere vecchia e di come può esser giovane, di come può abbondare di risorse e di come può soffrire la miseria. Forse se ne ricava anche qualche ragione per arrabbiarsi, ma anche qualche ragione per sentirsi invadere dall’ammirazione e dalla commozione per la stupefacente vitalità del Vangelo che, in ogni parte della terra, sotto ogni cielo, genera comunità, regala speranza, fa nascere vocazioni, salva ed eleva la cultura e la dignità delle persone».
E tutto questo per una sola ragione, che è l’unico motivo per cu si è partiti attraverso i secoli e lo si dovrebbe fare ancor più nel Terzo millennio
«Anche oggi chi va in missione trova la sua forza nel corpo di Cristo, sapendo che tutto quello che può fare o dare è certo utile, ma che, senza l’aiuto a incontrare Gesù, tutto è precario, tutto è inadeguato. Il missionario trova la ragione del suo partire, non nel desiderio di fare qualcosa di nuovo, ma nella fede: cioè crede nel Signore e obbedisce alla sua Parola, soffre dell’assenza e spera d’incontrarLo. Il missionario parte con il desiderio del pane di Cristo.
Da dove è così difficile andare a Messa, forse, è possibile tornare con la consapevolezza che siamo facilitati e non dobbiamo temere perché entriamo in una Chiesa. Impariamo ad avere fame di questo pane di vita eterna. Chi viaggia in modo virtuale, chi viaggia come il turista curioso, come il gregario, può chiudere il viaggio premendo un tasto, chiudendo l’estate, ridendo e scherzando su un’avventura. riuscita. Chi viaggia con il corpo, sperimentando la fatica e la festa dell’incontro, condividendo un cammino di Chiesa, chi viaggia con e cercando il pane consacrato, chi è affamato di un pane di vita eterna, intraprende una storia che non finisce con l’estate e si avvia a una sequela che può salvargli al vita. Il corpo vi salverà».
E alla fine, dopo la Professione di fede e le parole di don Novazzi che invitano i partenti – una volta tornati – a raccontare la loro esperienza come testimonianza della Chiesa in uscita, la festa con una Band brasiliana e i giochi di luce proiettati sulla bella e antichiama facciata della Basilica, nella piazza in festa grande.