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Intervista

De Scalzi: «A Sant’Ambrogio chiamato a custodire arte e fede»

L’augurio dell’Abate emerito al suo successore monsignor Faccendini: «Questa Basilica è patrimonio della Chiesa, ma anche della città di Milano»

di Luisa BOVE

6 Novembre 2017

«Cercare sempre il nuovo e custodire ciò che si è conseguito» (Nova semper quaerere et parta custodire). Sono le parole di augurio, prese in prestito dal grande Ambrogio, che monsignor Erminio De Scalzi rivolge al suo successore monsignor Carlo Faccendini, nuovo Abate di Sant’Ambrogio.

«Sono molto contento che a succedermi dopo 20 anni sia lui – dice il vescovo -. L’ho potuto apprezzare come parroco di San Silvestro e Martino a Milano e poi come vicario episcopale della città». «Resterò a Sant’Ambrogio a dare una mano», aggiunge De Scalzi, che qui si era sentito chiamare «a custodire la bellezza storica e artistica, un patrimonio inestimabile, consapevole che questa splendida Basilica non poteva sottrarsi all’impegno di offrire il suo contributo originale, insostituibile, all’opera di elevazione della qualità della vita nella nostra città».

Ci tiene a ricordare il ruolo delle «Pietre vive», un gruppo composto per lo più di giovani e seguito dai Gesuiti che, una volta al mese, si mettono a disposizione a titolo volontario per le visite alla Basilica: oltre a offrire spiegazioni storico-artistiche, intrattengono turisti e pellegrini con una catechesi ad hoc. Ma al di là dell’aspetto artistico della Basilica, l’Abate emerito si è occupato «dell’animazione pastorale della comunità cristiana che la abita o la frequenta», una comunità che definisce «sui generis», sita nel centro storico, ma aperta a un orizzonte più ampio, oltre i confini territoriali.

Sono due le categorie di fedeli che frequentano la Basilica: «I “vecchi parrocchiani” e quelli di adozione, che sono tanti, e considerano Sant’Ambrogio la chiesa dei milanesi». Questa «apertura di cuore verso chi milanese non è o parrocchiano non è», spiega De Scalzi, nasce da lontano, «dalla imitazione di Ambrogio che accolse con cuore grande Agostino, uno straniero, che veniva dall’Africa settentrionale». E poi in Basilica «si prega bene – assicura il Vescovo -. Molte persone in ricerca vengono qui a pregare, è una chiesa che ispira alla preghiera, che invita al dialogo penitenziale». Non solo. È una chiesa attenta all’ecumenismo: «Qui vengono anche molti ortodossi perché venerano Ambrogio come il Padre della Chiesa indivisa». La Basilica, conclude l’Abate emerito, «l’ho sentito come patrimonio della Chiesa ambrosiana, ma anche della città di Milano. Il mio compito è stato quello di custodire, insieme alle spoglie di Ambrogio, il profondo radicamento che la memoria di questo santo ha avuto nello svolgersi della storia cittadina di ieri e di oggi. Un tipico esempio è il Discorso che l’Arcivescovo rivolge ogni anno alla città».

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