«Chi è l’uomo di cui ti prendi cura?» è il titolo di un ciclo di tre appuntamenti: il primo già tenutosi il 14 aprile alla SST Rhodense di Garbagnate (più di 80 i partecipanti); il secondo che si terrà mercoledì 2 maggio presso la Rsa San Pietro di Monza; il terzo in programma il 17 maggio al Centro congressi dell’Humanitas di Rozzano.
«Sono tre eventi promossi dal Servizio per la Pastorale della Salute dell’Arcidiocesi, volutamente ospitati in strutture differenti, con relatori diversi, ma con la medesima tipologia – spiega don Paolo Fontana, responsabile del Servizio -. Abbiamo desiderato, quest’anno, ampliare la nostra offerta di aggiornamento, cercando di interagire con le strutture sanitarie presenti sul territorio, al fine di offrire, in stretta collaborazione con le strutture stesse, una proposta formativa sotto forma di convegni. Abbiamo, così, contattato tre realtà che si sono rese disponibili a questa esperienza nuova per noi e per loro. Torno a dire che si tratta di tre strutture differenti: la SST è pubblica, la RSA ospita particolarmente anziani e l’Humanitas è privata. Ma il convegno ha per tutti ha lo stesso carattere antropologico, perché vogliamo intercettare l’uomo malato e l’uomo operatore presso il malato. Siamo convinti che, mossi dalla nostra fede, possiamo confrontarci sulle tematiche antropologiche che accompagnano ogni vivente, per poter suscitare domande sull’esistenza di ciascuno, sulla speranza propria e sul quella del paziente».
Parole cui fa eco Mario Mozzanica, docente universitario ed esperto in problematiche sociosanitarie, unico relatore presente a tutti gli incontri. Significativo il titolo della sua comunicazione, «Imparerò a guardare tutto il mondo», con l’espressione del famoso canto Symbolum ’78 di Pierangelo Sequeri. «Interrogare la società e la cultura postmoderna in ordine al tema della malattia e di quali influssi agiscano oggi sulla gestione della salute, sull’immaginario e anche sul vissuto relativo alla salute medesima è questione fondamentale – osserva Mozzanica -. In questo tempo di onnipotenza tecnologica c’è il rischio di pensare che potremo sempre guarire, che non moriremo mai. Invece, paradossalmente, crescono le malattie croniche, alcune meno gravi – come l’ipertensione o il diabete -, ma anche di tipo degenerativo. Bisogna chiedersi come la persona, oggi, dentro un tale influsso del postmoderno e in questo tempo detto “della morte di Dio e della morte del prossimo”, vive il suo benessere, ma anche domandarsi se la salute è solo benessere o se non invochi anche la dimensione del bene».
Insomma, quella che si vuole offrire, con l’iniziativa della Diocesi, è una proposta capace di coinvolgere le diverse figure legate alla malattia e alla sua gestione (pazienti, medici, operatori sanitari, parenti) promuovendo, al contempo, una nuova visione olistica della persona e della cura, come conferma Mozzanica: «Io amo dire che il postmoderno ci sfida al cure – la cura della malattia -, al care – prendersi cura del malato – e al caring, che vuol dire farsi carico della persona. Ricordiamo che il termine “malato” è un aggettivo, mai un sostantivo: è sempre l’aggettivo di un nome, di persone in carne e ossa. Siamo convinti che la strada sia quella della medicina olistica, anche narrativa che s’interroga sul chi sono e che cosa sarà di me».