Monsignor Antonio Donghi, illustre liturgista bergamasco, guidando in San Vittore la riflessione sul tema “Liturgia e fragilità. L’olio della speranza” ha sottolineato come «l’uomo contemporaneo avverte sempre la debolezza nella propria esistenza e sente impellente in se stesso l’urgenza di ritrovare la voglia di vivere”. In sostanza, ha detto, «l’uomo percepisce l’urgenza dell’olio della speranza, dell’olio della gioia e della novità di vita che riscaldi la sua persona e le dia una viva e vivace coscienza che Dio opera in modo continuo nella sua esistenza».
Così, monsignor Donghi ha definito la liturgia “olio della speranza” per l’uomo moderno. «E sperare – ha spiegato -, per l’uomo moderno significa avere il gusto della vita nonostante le tante tenebre nel mondo».
Tenebre che il sacerdote ha ricordato citando le guerre e affermando che «chi prova gli orrori dei conflitti bellici sa cosa vuol dire pregare per la pace ». Mons. Donghi ha ricordato anche il grido di papa Benedetto XVI ad Auschwitz (“Signore dove sei?”) sottolineandone il valore di richiamo ad una liturgia che valorizzi silenzi e gestualità. «La liturgia ci dice che Cristo salva – ha detto il relatore -, mostra che nulla è impossibile a Dio e questo apre agli uomini il cammino della speranza.
Un cammino che non deve lasciare fuori dalle chiese la storia e gli avvenimenti perché proprio la liturgia ha il potere di generare, nel cuore dei discepoli, la speranza della salvezza».
Monsignor Donghi ha ricordato l’invito evangelico del Cristo (“Venite a me voi che siete affaticati e oppressi”) ricordando come questo evidenzi la volontà di Gesù di assimilare in sé tutte le nostre sofferenze. «Cristo – ha sottolineato mons. Donghi – ha fatto comprendere all’uomo che il significato più vero dell’esistenza non si fonda semplicemente sull’essere in questo mondo, ma nel vivere per Dio e per gli altri, in tutte le circostanze della storia.
Guardando a lui, l’uomo nel travaglio storico si sente coinvolto nel suo destino e recupera fiducia e speranza: in lui continuamente muore e risorge». Lo stesso Gesù non cerca né sofferenza né morte, per quanto può tenta di evitarle.
«Tuttavia – ha rimarcato il relatore riferendosi all’orto degli ulivi – Cristo affronta sofferenze e morte con forza e coraggio, leggendo la sua situazione concreta come l’oggi della volontà del Padre. Così la vita di Cristo è il messaggio che manifesta la forza di speranza che deve animare ogni umana creatura».
Diventa allora importante che il cristiano si lasci attirare da Cristo nella liturgia (che mons. Donghi ha detto essere specifica per i credenti). In questo modo il cristiano incontra la fiducia di Dio e, nella liturgia, che non è una serie di riti come potrebbe sembrare, sperimenta lo Spirito Santo. «Sono tre le parole che possiamo prendere a riferimento – ha esemplificato il sacerdote -. E si tratta di fede, carità e speranza. Nella fede un cristiano accoglie e nella carità celebra per camminare verso il futuro nella speranza. Così capiamo come la liturgia non sia una serie di riti, ma una fede pregata che mette in dialogo il credente con la speranza».
E anche per le situazioni più delicate, per le sofferenze che toccano l’uomo sia nell’ordine fisico sia in quello psicologico, monsignor Donghi ha ricordato che Cristo non ha dato teorie per risolvere i problemi delle fragilità umane, ma soluzioni concrete.
«Nel quadro dell’umana impotenza – ha spiegato – Cristo si presenta come la vita e la risurrezione, il medico venuto non per i sani ma per i malati, nella prospettiva della restaurazione esistenziale dell’uomo ». Citando il prefazio comune ottavo del tempo ordinario (rito romano), il relatore si è commosso.
Proprio mentre parlava delle sofferenze umane. «Davanti a queste sofferenze – ha poi detto – l’uomo resta senza parole e occorre valorizzare la gestualità e il silenzio. Riscopriamo anche l’unzione degli infermi che è un sacramento per la vita e richiede un atto di fede differenziandolo dal viatico che accompagna nelle braccia del Padre».
Moreno Gussoni