«Quelli che si ostinano a stare sotto la croce sono talora fragili e spaventati, sono talora insidiati dal sospetto di essere anacronistici, sconfitti, e tuttavia continuano a ritenere false le insinuazioni del principe di questo mondo, che li dichiara irrilevanti, insignificanti e impotenti e continuano a stare là, sotto la croce, perché operi in loro il principio vocazione, il principio comunione e il principio seminagione». Così stasera il Vicario generale, monsignor Mario Delpini, ha concluso la sua meditazione presiedendo la quarta e ultima Via Crucis quaresimale in Duomo, in rappresentanza del cardinale Angelo Scola, impegnato nel Conclave a Roma.
La tappa conclusiva del cammino catechetico Stabat Mater dolorosa aveva per titolo “La Madre che sorregge il Figlio” e ha riguardato le Stazioni XII, XIII e XIV. Il rito, centrato sul Vangelo di Giovanni (19,25-42), è stato arricchito dalla presenza a fianco dell’ambone della copia in gesso della Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti e animato da testimonianze in poesia e prosa (testi di Sant’Ambrogio, Benedetto XVI e del cardinale Henri de Lubac) e accompagnamenti musicali (brani di Gallus, Medica, Boretti, Bartolucci, Burgio, De Victoria, Hassler e Sobrero). Erano presenti in Duomo i fedeli delle Zone pastorali IV (Rho) e VII (Sesto San Giovanni).
«Irrilevanti, insignificanti, impotenti: per questo siamo qui, per contemplare lo spettacolo della crocifissione e morte e sepoltura di Gesù»: con queste parole monsignor Delpini ha raffigurato «la moltitudine di coloro che nessuno può contare, che sono i discepoli di Gesù». Quanti, cioè, sono irrisi dal «principe di questo mondo», perché «non contano nulla nella vita degli affari, nelle pagine dei giornali, nelle aule delle università, al tavolino del bar, alla scrivania degli uffici…». Anche «l’evento» della crocefissione «s’è compiuto senza lasciar traccia nella cronaca di quel tempo… deve essere stato ritenuto irrilevante, insignificante, impotente». «Ma la Madre e il Discepolo e tutti i discepoli si ostinano a stare presso la croce di Gesù – ha sottolineato -, perché sono persuasi che Gesù è l’unico che dà significato alla loro vita e alla storia dell’umanità, a lui rivolgono lo sguardo per contemplare la sua gloria, la potenza, la bellezza, il fondamento della loro speranza».
Il Vicario generale ha ribadito che anche ai discepoli «un po’ inaffidabili, piuttosto timidi, spesso un po’ complessati», talora «non insensibili alle insinuazioni del principe di questo mondo», giunge l’invito della Chiesa: «Continuate a stare presso la croce di Gesù!». E questo perché «sotto la croce ricevono la parola che rende significativa la loro vita». Parola che è «il principio vocazione», vale a dire «il significato di una vocazione che affida una missione».
Ancora: quanti «si ostinano a stare presso la croce di Gesù» che, «innalzato attira tutti a sé e cambia la storia del mondo», «ricevono la grazia di essere un segno nella storia degli uomini», in quanto «rivelano la gloria del “principio comunione”». Cioè quel principio che «suggerisce che noi diventeremo un cuor solo e un’anima sola se volgeremo lo sguardo a colui che è stato trafitto, se ci metteremo alla scuola del crocifisso, se imiteremo il Signore che è in mezzo ai suoi come colui che serve», perché «l’umiltà della fede è il segreto della comunione».
E infine, chi sta presso la croce di Gesù, a contemplare «la pietra posta a chiudere il sepolcro», non dispera «come coloro che non hanno speranza e si congedano dai morti come rassegnati alla definitiva sconfitta della vita», ma custodisce invece «la speranza e l’attesa», perché impara «il “principio seminagione”»: «La tomba imprigiona il corpo del Crocifisso… ma come un deserto che si prepara a fiorire in forza di quello che sembra il più piccolo di tutti i semi». Questo «è lo stile del Regno che è già in mezzo a noi, è già il significato del mondo, è già la terra promessa della Chiesa».