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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Riflessione/2

Considerare l’altro come un fratello

Un obiettivo: investire nei giovani per raggiungere l’auspicato “sogno” della pace fra gli uomini

di Mouelhi MOHSEN Vicario generale della Confraternita Sufi Jerrahi d’Italia

25 Novembre 2012

«Sì, i musulmani, gli ebrei, i cristiani e i sabei, chiunque ha creduto in Dio e nel Giorno ultimo e compiuto opera buona, per costoro la loro ricompensa presso il Signore. Su di essi nessun timore, e non verranno afflitti» (Corano 2, 62). La Diocesi di Milano non è nuova a questo tipo di “spronamento” e incitamento al dialogo fra musulmani e cristiani. Anche i precedenti cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi si sono impegnati a fondo su questo terreno.

Il cardinale Martini scriveva: «Il pluralismo religioso è oggi una sfida per tutte le grandi religioni, soprattutto per quelle che si definiscono come vie universali e definitive di salvezza: se non si vuole giungere a nuovi scontri, occorrerà  promuovere con forza  un serio e corretto dialogo interreligioso». Ciò che mi piace in questa dichiarazione è l’uso della parola interreligioso che si oppone a multireligioso, perché quest’ultimo termine indica staticità, mentre il primo indica movimento, scambio di idea e aggiungo relativizzazione delle certezze intrinseche a ogni credo, perché siamo diversamente credenti, ma decisamente creature di Dio (chiamiamolo come vogliamo).

Relativizzare mi fa venire in mente il termine inglese relative che vuol dire parente, il che implica una relazione di parentela fra i dialoganti, perché appartenenti al genere umano. Il punto di partenza è considerare l’altro come fratello e questo vuol dire non mettere in primo luogo la propria identità costituita da elementi che non abbiamo scelto. L’assenza di dialogo è suicidio, perché la difesa delle peculiarità identitarie ha portato a sciovinismo, apartheid, genocidi, razzismi, guerre civili, muri che si alzano, pulizie etniche, olocausti e rigetto dell’altro. «Se il Signore avesse voluto, avrebbe fatto delle genti una sola comunità. Le varie comunità sussistono invece si confrontino e nessuna prevaricazione» (Corano 11, 118).

Il dialogo deve essere serio e corretto evitando di peccare di autostima e delirio di onnipotenza. È stupido negare che non ci siano degli zoccoli duri, ma quello che emerge da queste lodevoli iniziative è la cultura del dialogo che passa dall’accoglienza, alla tolleranza, al rispetto, alla comprensione della cultura altrui secondo un equilibrio determinato dal concetto che ogni strada religiosa o culturale è comunque una per portare a Dio. Meno parliamo e più aumentano i problemi. Il dialogo non sarà più: io, mio, fammi, dammi, ma noi, nostro, facciamo, diamo, ecc. Col dialogo possiamo con-vivere, con-dividere per con-vincere cioè vincere insieme.

Partendo anche dal presupposto che il dialogo non è il punto di arrivo ma il punto di partenza, non è neanche sincretismo, ma tentativo di capire l’altro e le sue peculiarità. La discussione con chi condivide le tue stesse idee non può essere chiamata dialogo, perché dobbiamo distinguere fra la conversazione che è un semplice scambio di opinione e il dialogo che parte dalla diversità per diventare comunità. Lo scopo del dialogo non è uno scambio di opinione, ma è uno strumento per raggiungere la pace. Il grande Mandela diceva: «La pace è un sogno e per raggiungerla si deve sognare». Noi nel Forum delle religioni stiamo investendo sui giovani per realizzare questa auspicata “pace” fra gli uomini.