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Con la messa in Duomo dell’Arcivescovo prendono il via le celebrazioni per il 50° anniversario della morte DON CARLO GNOCCHI, UN ESEMPIO DA IMITARE

5 Giugno 2008

“Accanto alla vita. Sempre” è lo slogan scelto dalla Fondazione Don Gnocchi in occasione del 50° della morte del sacerdote ambrosiano. Molte le manifestazioni e le iniziative promosse anche dai diversi Centri.

di Luisa Bove

Il 25 febbraio scorso, con una messa solenne in Duomo, il cardinale Dionigi Tettamanzi ha inaugurato il 50° anniversario dalla morte di don Carlo Gnocchi. «Noi non siamo qui soltanto per commemorare», ha detto l’Arcivescovo, «siamo qui per meditare, per imparare, per imitare». Ciò che il “papà dei mutilatini” ha fatto appartiene a lui solo, ma lo stile, «la dedizione costante, generosa e gioiosa», rimangono ancora oggi.

Agli oltre 400 presenti (alpini, disabili dei centri, mutilatini, ex allievi…) Tettamanzi ha ricordato la “triplice lezione” lasciata dal sacerdote ambrosiano. La prima è la serenità operosa : a un amico prete che gli raccomandava il riposo, don Carlo rispondeva: “Devo spendere bene i miei giorni”. La seconda lezione è quella di non temere cose grandi e impegnative: citando Claudel diceva “Siamo fatti per l’eroismo e non per il piacere”. E infine la speranza e l’ottimismo, non a caso Giovanni Paolo II lo definì «seminatore di speranza».

Ma al Cardinale piace ricordare di don Gnocchi anche «quel sorriso che aleggiò sempre sul suo volto» e che «colpì profondamente il suo arcivescovo Montini , quel sorriso immortalato in tutte le fotografie che lo ritraggono mentre sorregge tra le braccia con immensa tenerezza un piccolo, un orfano, un mutilatino».

In Duomo, tra i numerosi “figlioli” di don Carlo – come lui stesso amava chiamare i suoi ragazzi -, c’era anche Domenico Antonino. Il mutilatino, che il 28 febbraio 1956 aveva partecipato ai funerali di don Gnocchi, fu chiamato dallo stesso Montini per salutare don Carlo: «Vieni, parla tu…». E con grande spontaneità il piccolo Domenico aveva detto: «Prima ti dicevo: “Ciao, don Carlo”. Adesso ti dico: “Ciao, san Carlo”».

E riprendendo la parola nello stesso Duomo a 50 anni di distanza ha ammesso: «Ricordo che avrei voluto avere la voce e il cuore di tutti per dirti grazie. Te lo sussurrai quel giorno, e avevo soltanto 10 anni. Te lo ripeto oggi, con la stessa voce e lo stesso cuore delle migliaia di bambini e ragazzi che hai restituito alla vita, delle migliaia e migliaia di persone che da allora, nei Centri della tua Fondazione, ricevono cure, assistenza, formazione e, soprattutto, amore».

Ed è proprio la riconoscenza che ancora oggi accomuna le numerosissime persone – ormai divenute adulte -, che hanno partecipato alla celebrazione eucaristica dell’Arcivescovo. La presenza di don Carlo è ancora viva in loro, per lui pregano e lo invocano nei momenti di bisogno.

Ma se la vita di don Gnocchi è stata esemplare, non meno lo è stata la sua morte. «Poco prima di entrare in agonia sussurrò come san Francesco: “Vieni, vieni sorella morte…”», ha ricordato l’Arcivescovo. «La attese con respiro sempre più affannoso, tenendo lo sguardo fisso a quel piccolo crocifisso che lo aveva accompagnato nelle campagne militari in Albania e in Russia e che era stato appeso per sua volontà, sulla tenda a ossigeno. Improvvisamente si drizzò sul letto, afferrò il crocifisso, lo baciò e lo pose sul suo cuore». E spirò.

Ora il desiderio, come ha detto il cardinal Tettamanzi, èche «si compiano gli ultimi passi dell’inchiesta canonica» e «il Santo Padre ponga il suo sigillo definitivo e dia il suo consenso» perché sia presto beatificato. Intanto sul sagrato del Duomo la manifestazione continua con il lancio di palloncini colorati dei ragazzi dei Centri che in cielo hanno fatto volare messaggi di saluto e di gratitudine per il “loro” don Carlo.