Si terrà a Milano, sabato 20 ottobre dalle 9.30 alle 12.30, presso l’Auditorium S. Carlo (corso Matteotti 14), il convegno di bioetica organizzato dal Servizio per la Pastorale della salute della Diocesi dal titolo “Con il malato e con i suoi: nella fragilità la cura”.
«Da tre anni stiamo affrontando il tema dell’accompagnamento al fine vita – dice don Paolo Fontana, moderatore del convegno -, abbiamo iniziato questo percorso prendendo spunto dai 30 anni dalla pubblicazione della Iura et bona, la Dichiarazione per la Dottrina della fede sull’eutanasia del 1980. L’anno scorso abbiamo affrontato il tema degli ultimi giorni di vita, il farsi carico del malato morente, mentre quest’anno abbiamo scelto il tema della fragilità». Il riferimento è in particolare a chi è colpito da malattie che hanno un lungo decorso degenerativo, tipica è la Sla, ma non è l’unica. «Al convegno – continua il moderatore – vorremmo quindi riflettere sull’aspetto della fragilità in queste malattia».
Il primo intervento sarà di Stefania Bastianello, responsabile della formazione Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), e avrà il tono della testimonianza, perché Bastianello ha assistito suo marito, malato di Sla e scomparso da pochi mesi. Invece Margherita Greco, psicologa che ha lavorato per anni negli hospice e ora svolge un compito di accompagnamento dei pazienti ricoverati presso l’Istituto nazionale dei tumori di Milano, parlerà della fragilità degli operatori sociali. «Anche loro infatti, quando si rapportano con un malato, mettono a nudo le proprie fragilità, i propri limiti e le paure».
L’ultima relazione, affidata a Mario Mozzanica, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, «sarà di ampio respiro», assicura don Fontana, «perché ci aiuterà a comprendere quanto la fragilità appartenga alla nostra vita e ancora di più ai rapporti sociali. Eppure la fragilità può diventare un’occasione per costruire autentiche relazioni sociali». La fragilità del paziente e di chi lo assiste (sia esso medico, infermiere o parente), può essere infatti condivisa, seppure ognuno la viva in modo differente e con ruoli diversi. Non solo. La cura non va intesa solo come somministrazione di farmaci o fornitura di servizi sanitari, «ma è un prendersi carico del malato nella sua globalità». Questo vale ancora di più quando siamo di fronte a malattie neurodegenerative, che hanno un decorso molto lungo negli anni, «per cui il malato e gli stessi familiari vedono affievolirsi le speranze. Ed è difficile stare accanto a chi sa (paziente e familiari) di non avere cure farmacologiche o interventistiche, per questo diventa più importante prendersi cura della persona in modo globale».
Il convegno di sabato non è per addetti ai lavori, ma aperto a tutti coloro che già assistono malati, a chi sa di avere accanto parenti o amici colpiti da malattie di lunga degenza, ma non solo. La sofferenza e la malattia infatti appartengono alla vita e riguardano tutti, per non dire l’intera società. Ma la vita, si legge nel volantino del convegno, «è riscattata dalla sua fragilità e diventa dono assolutamente affidabile solo se si riconosce in essa un senso e se, affidandosi a quel senso, viene stretto un patto con il Creatore. Senza la scelta dell’affidamento la vita appare precaria».