Il “cantiere” delle Comunità pastorali è stato al centro del Consiglio pastorale del 9 e 10 marzo, presieduto dal Vicario generale monsignor Mario Delpini. La relazione iniziale di monsignor Luigi Manganini ha ricordato come l’intenzione che soggiace alla volontà di istituire le Comunità è quella di continuare l’azione evangelizzatrice della Chiesa in un determinato territorio, a partire da un’interpretazione socio-culturale e pastorale della complessa situazione attuale. È parso utile allora focalizzare l’attenzione sulla vita delle comunità, verificando se sussiste o meno la richiamata tensione comunionale per l’evangelizzazione, per poi soffermarsi anche sulla indispensabile dimensione organizzativa.
Al 31 dicembre 2012 le Comunità pastorali avviate in Diocesi risultano 136, che raccolgono 470 parrocchie (42.4% del totale delle parrocchie, per oltre 2 milioni di abitanti). Lo sviluppo delle Cp non è un fenomeno omogeneo in tutta la Diocesi: interessa in modo particolare tre Zone (II, III, V). Da notare che l’85% delle parrocchie della Zona di Monza sono in Comunità pastorale, a fronte del solo 11,7% nella Zona di Milano. Con un numero quasi simile di CP, stupisce inoltre la forte differenza nel numero di abitanti coinvolti: la Zona V coinvolge più del doppio degli abitanti della Zona II e più del triplo di quelli della Zona III. È certo importante che in tutte le Comunità ormai si sia scelto di formare un Consiglio pastorale di Comunità.
Dal confronto nei gruppi sono emersi alcuni motivi di riflessione: per esempio, la necessità di un’azione formativa dei laici, dei sacerdoti e dei seminaristi inseriti in Co, per favorire un nuovo approccio alla presenza evangelizzatrice della Chiesa sul territorio; ciò farebbe maggiormente cogliere la Cp come una straordinaria opportunità di rinnovamento, e non come una minaccia o una sovrastruttura inopportuna. Nelle esperienze in corso, inoltre, si è rilevata all’interno dei Direttivi un ruolo preponderante dei presbiteri e una presenza ancora esigua di laici, la cui collaborazione e corresponsabilità andrebbe maggiormente stimolata.
Sembra importante inoltre che sia meglio specificata la relazione tra parrocchia, decanato e Cp: sorgono infatti numerosi interrogativi sull’identità e sul futuro di queste realtà ecclesiali. Si auspica di superare una visione della Comunità ripiegata su se stessa per aprirsi a una nuova prospettiva ad extra, per una presenza più incisiva dell’azione missionaria sul territorio grazie a una più avveduta razionalizzazione delle risorse complessive. Lo scarto ancora esistente tra la bontà dell’idea e la difficoltà nell’attuarla nella realtà può e deve essere superato, affidandosi all’azione dello Spirito e sempre in una prospettiva di carità, dove prevalga la disponibilità e il dono di sé.
Si è dato spazio anche alla riflessione sulla pastorale giovanile nella Cp. Il giudizio è positivo, in quanto la Cp ha permesso un respiro più ampio e un occhio più aperto sulla realtà, segnata da maggiore mobilità, possibilità di confronto, apertura al nuovo. Al contempo si ritiene che la presenza dei giovani sia un motore propulsivo per la costituzione delle Cp: spesso le Cp sono state preparate con un effettivo lavoro di pastorale di insieme nell’ambito della pastorale giovanile.
Importante, ha ribadito in conclusione il Vicario generale, è la necessità di fondare e far crescere la comunione e la pastorale d’insieme: le forme ora in atto sono legate al tempo e sicuramente la scelta della Cp è un frutto dello Spirito e un esercizio di profezia importante in un tempo in cui si sta ripensando la presenza della Chiesa sul territorio. La Cp si realizza in rapporto al territorio, ma con elementi che unificano tutta la Diocesi.
L’auspicio formulato è che la Comunità cristiana, in cammino già da anni sui temi della nuova evangelizzazione in un mondo che cambia, sappia operare un acuto discernimento per una sua rinnovata proposta missionaria, all’interno della quale le Cp possono essere un’occasione straordinaria per un vero rinnovamento.