«La famiglia sta vivendo una situazione che potremmo dire paradossale: da un lato si attribuisce un grande valore ai legami familiari, sino a farne la chiave della felicità; dall’altro la famiglia è diventata il crocevia di tutte le fragilità. Vediamo famiglie che si disperdono, si dividono, si ricompongono, tanto che è divenuto normale affermare che ci sono molte forme di famiglia. Si è convinti che gli individui possano “fare famiglia” nelle maniere più diverse. Qualsiasi forma di “vivere insieme” può essere reclamata come famiglia, l’importante, si sottolinea, è l’amore»: è stata questa l’analisi, pacata ma anche molto cruda e realistica, che monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha posto alla base dei lavori della XXI assemblea plenaria dello stesso Consiglio e che ha avuto, nella giornata del 24 ottobre, una fase pubblica con il convegno su “Nuovi orizzonti antropologici e diritti della famiglia”.
Lamenti dei figli “della provetta”
Durante tutta la “plenaria” e, in particolare, per gli aspetti giuridici, sociologici, economici, nel convegno pubblico presso la “Domus Pacis” a Roma, sono emersi gli elementi critici che rendono oggi il dibattito sulla famiglia e sui suoi “diritti” molto delicato e complesso. Cosa fare di fronte al diffondersi aggressivo di pratiche quali la contraccezione, l’aborto, le inseminazioni artificiali, le forme di natalità surrogata con “affitto” di uteri per la gestazione da parte di donne dei Paesi più poveri al servizio del desiderio di figli di coppie etero e anche omosessuali dei Paesi più ricchi? Come rispondere alle domande che cominciano a emergere, negli ambiti più diversi quali scuole, meeting, convegni, allorché si alza qualche giovane figlio o figlia di genitori surrogati, oppure nato “in provetta” da un donatore di seme maschile, che con rabbia o rancore dichiara il proprio “vuoto” interiore dovuto al fatto di non conoscere chi sia il proprio padre naturale?
I principi della “Carta” del 1983
La Chiesa negli ultimi decenni, soprattutto dopo l’enciclica “Humanae Vitae” di Paolo VI e poi con il fondamentale insegnamento spirituale, etico e pastorale di Giovanni Paolo II sulla vita, l’amore, la sessualità, la paternità e maternità responsabile, ha sempre sostenuto non solo il valore della “stabilità” e sacralità della famiglia fondata sul matrimonio. Ma – lo ha ricordato monsignor Jean Laffitte, segretario del Pontificio Consiglio – ha anche difeso parimenti il valore e la dignità della famiglia come un ente naturale che è antecedente allo Stato e a cui lo Stato stesso non può imporre norme che la limitino, vincolino o pieghino a imposizioni contrarie al suo scopo e natura più profonda. Durante il convegno, infatti, si è parlato dei “diritti” della famiglia, richiamandone i principali contenuti nella “Carta dei diritti della famiglia” emanata nel 1983, come frutto dei lavori del Sinodo della famiglia promosso da Giovanni Paolo II nel 1980. L’elenco di tali diritti sarebbe lungo. Sono stati riassunti da monsignor Laffitte con quello di esistere in quanto tale, di svilupparsi come famiglia, di donare la vita a quanti figli responsabilmente si pensa di poter avere, di credere e professare la propria fede, di creare associazioni con altre famiglie, di poter essere rappresentate di fronte alle pubbliche istituzioni.
Salvare almeno la definizione di matrimonio
L’avanzata della legislazione a favore delle unioni omosessuali, la banalizzazione della sessualità, il disinteresse per la tutela delle maternità difficili, la pubblicizzazione di forme di “salute riproduttiva” che in realtà costituiscono veri e propri attentanti al sano esercizio di una sessualità matura e responsabile sono gli ingredienti odierni di politiche sociali diffuse in numerosi Paesi e che si scontrano con la visione della famiglia come ente di “diritto naturale”. Così il giurista spagnolo Andrés Ollero ha voluto sottolineare che il «matrimonio è un istituto di diritto naturale» mentre oggi c’è chi «vorrebbe mettere in gioco questo principio che per secoli è stato universalmente riconosciuto». Allo stesso modo, la collega giurista statunitense Teresa Collett ha notato come oggi sia importante, di fronte agli attacchi concentrici della cultura del “gender” e di quella omosessuale, «almeno mantenere la definizione esistente di matrimonio come unione di un uomo e di una donna». Carl Anderson, presidente dei “Cavalieri di Colombo”, organizzazione cattolica di servizio fraterno fondata negli Stati Uniti, ha affermato che i cattolici «debbono continuare a lavorare per strutture legali che supportino la cultura della famiglia» e anche per diffondere «la saggezza della cattolicità secondo cui una autentica vita di famiglia è insostituibile». La storica Lucetta Scaraffia ha invece sottolineato l’urgenza di una valorizzazione femminile, tanto nella società quanto nella Chiesa. «L’intento di negare la differenza sessuale per sostituirla con il concetto neutro di “gender” – ha detto – è infondata e pericolosa, ma è anche vero che sottolineare solo la “complementarietà” rischia di perpetuare l’oppressione femminile». Dal canto suo, invece, l’economista Stefano Zamagni si è chiesto come possa la società contemporanea «conservare l’identità della famiglia senza alterare il suo “genoma” di fronte al dilagante mito della “singleness” (modo di condurre la vita e le relazioni in maniera autonoma, ndr.)»? La risposta è stata nell’indicare le “coppie generative” come modello di creatività personale e anche sociale, capaci di donare significato non solo al proprio rapporto ma anche al dinamismo della società.