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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Capitano nell’Inter e nella Nazionale BERGOMI, ALLA SCUOLA DI FACCHETTI E ZOFF

5 Giugno 2008

«Una squadra può avere molti leader, ma il capitano
e’ uno solo – afferma lo “zio” -. La sua importanza
si misura dalle azioni, più che dalle parole o dalle
manifestazioni esteriori: deve farsi rispettare,
ma soprattutto proporsi come esempio per i compagni
e per tutto l’ambiente nei comportamenti
e nell’assunzione delle proprie responsabilità».

di Mauro Colombo

Parlando di “capitani coraggiosi”, il tema al centro del Natale degli Sportivi 2007, viene spontaneo, tra gli altri, pensare a Beppe Bergomi: quasi 800 partite con l’Inter distribuite tra il 1981 e il 1999, 81 presenze in Nazionale con cui ha disputato quattro campionati del mondo.

Sia in nerazzurro che in azzurro, lo “zio” è stato un capitano di lungo corso, un premio alla precoce maturità sempre riconosciutagli e una testimonianza della sua “alta fedeltà” ai colori indossati. «Fare il capitano non vuol dire solo allacciare la fascia bianca al braccio o scambiarsi il gagliardetto con l’avversario – spiega -. Significa farsi rispettare, ma soprattutto proporsi come esempio per i compagni e per tutto l’ambiente nei comportamenti e nell’assunzione delle proprie responsabilità».

Discorso che vale sia per il club che per la Nazionale?
In Nazionale, se vogliamo, è più semplice, perché ci si ritrova una volta ogni tanto, e generalmente in occasioni nelle quali tutti avvertono il significato e l’importanza dell’impegno, senza che il capitano debba intervenire a stimolare più di tanto. Nella tua società, la frequentazione e la consuetudine quotidiana possono sfociare in una routine o, peggio, nel deterioramento dei rapporti. È allora che la responsabilità del capitano deve emergere per fare gruppo.

C’è una figura di “capitano” alla quale ti sei ispirato?
Nell’Inter Giacinto Facchetti, per una certa affinità di carattere, per le carriere simili e anche per l’ottimo rapporto che avevo con lui, anche se non ho fatto in tempo a giocarci assieme. In Nazionale sicuramente Dino Zoff, anche per gli aiuti e i consigli che mi ha dato quando ho esordito in azzurro.

Dicevano che come capitano in campo parlavi poco, o almeno questa era l’impressione che fornivi all’esterno. Sei d’accordo?
Credo che l’importanza di un capitano si misuri dalle azioni, più che dalle parole o dalle manifestazioni esteriori: arrivare per primo agli allenamenti, essere in prima fila quando ci sono da curare gli interessi comuni della squadra… L’esempio parte da queste piccole cose.

All’inizio della carriera sei incorso spesso in espulsioni, poi ti sei molto disciplinato. Ti ha responsabilizzato anche il ruolo di capitano?
Certamente. Da un certo punto in avanti, la maggior parte delle mie espulsioni è stata determinata da doppie ammonizioni per interventi di gioco, più che da proteste e comportamenti indisciplinati. Quello del capitano è un ruolo che ti porta a instaurare un rapporto corretto anche con l’arbitro. Che migliora ulteriormente – dal mio personale punto di vista – se il direttore di gara dialoga con te e non cerca invece di imporre a priori e a tutti i costi la sua autorità.

Per i compagni il capitano può essere un trascinatore sul piano agonistico, ma soprattutto un modello dal punto di vista della correttezza e della integrità morale. Questo vale anche per i tifosi?
Una squadra può avere molti leader. Nel Milan, per esempio, dal punto di vista agonistico Gattuso è un autentico trascinatore, capace di dare la carica a tutti. Il “capitano”, però, è Paolo Maldini: il suo peso specifico vale per tutto l’ambiente, spogliatoio e tifosi compresi. Poi è chiaro che ci sono tifosi che vivono lo sport con lo spirito giusto e quindi sono sensibili all’esempio di queste figure, e ci sono gli esagitati che, per quanto tu possa dire o fare, continuano a comportarsi come vogliono. E l’abbiamo visto, purtroppo, nelle ultime settimane.

Si dice che le “bandiere”, i giocatori-simbolo, non ci sono più. I capitani sono una specie in via di estinzione?
Pur con qualche eccezione (Riva, Antognoni….) le “bandiere” sono sempre legate alle grandi squadre: appunto Maldini, Zanetti, Del Piero, Totti… Giocatori che iniziano e finiscono la carriera con la stessa maglia. Da questo punto di vista, penso che giocatori-simbolo continueranno a essercene.