«La nostra società, di solito, non riconosce l’aborto come una perdita: spesso anzi viene considerato come una non-esperienza. Occorre capire che per assistere le famiglie ferite da questo dramma bisogna tornare a compiere gesti semplici e di carità, ricordando che tutti coloro che promuovono la vita e la fanno crescere non concorrono a un processo quantitativo, ma qualitativo». Così monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e vicepresidente per l’Italia settentrionale della Conferenza episcopale italiana, è intervenuto stamane alla conferenza stampa di presentazione del progetto “Fede e terapia”, promosso dall’associazione “Difendere la vita con Maria” per offrire un aiuto terapeutico attraverso un numero verde a tutti coloro che hanno vissuto il dramma dell’aborto.
Monsignor Brambilla, che ha scritto l’introduzione al manuale in uso tra gli operatori del numero verde, ha criticato la mancanza di iniziative a sostegno delle politiche familiari, ribadendo l’urgenza di riflettere nel periodo del Giubileo sulla coscienza cristiana di vivere il peccato, creando un sistema in grado di promuovere l’accoglienza. «Una pastorale della vita non deve fermarsi a ingrandire solo il momento post aborto – ha proseguito Brambilla -. La cura con cui coloro che intraprendono un cammino di ricerca e di sperimentazione di nuove prassi deve vivere questo momento come una sfida simbolica ad accompagnare la vita civile, provocandola a essere capace di generare vita. Non solo oggi si genera meno, ma si genera anche un umano che “è di meno”. E a questo proposito sono due le ragioni che lo testimoniano alla perfezione: il deperimento della coscienza educativa, confermato dalla mancanza di risorse cristiane nel campo formativo, e la povertà di iniziative nel sostegno delle politiche familiari, soprattutto verso i figli».