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Intervista

«Benedetto XVI ci ha confermato
nel Vangelo della Famiglia»

Monsignor Bruno Forte, vescovo di Chieti Vasto, che ha guidato a Milano una vasta delegazione della sua diocesi, traccia un bilancio dell’Incontro e parla anche di lavoro, giovani e terremoto...

di Silvio MENGOTTO

6 Giugno 2012

Tra le migliaia di pellegrini giunti a Milano da tutto il mondo per partecipare al VII Incontro mondiale delle Famiglie, anche una folta delegazione della diocesi di Chieti Vasto, composta da molte coppie e guidata dal vescovo monsignor Bruno Forte.

Una partecipazione nella quale è culminata un’intensa preparazione all’evento, partita, come ci spiega lo stesso monsignor Forte, dalla pastorale familiare ordinaria: «Prestiamo attenzione sia alla formazione della famiglia (con corsi di preparazione al matrimonio), sia al successivo accompagnamento. Spesso i corsi sono “cammini” di nuova evangelizzazione per quanti si sono allontanati dall’esperienza religiosa e dalla pratica dei sacramenti. Anch’io partecipo almeno a un incontro: mi sembra giusto che i fidanzati possano incontrarsi con il loro pastore e dialogare con lui. Ogni anno, poi, tutti i fidanzati prossimi al matrimonio vanno in pellegrinaggio alla Madonna di Loreto. A questo si aggiunge il tentativo di creare équipes di Pastorale familiare, coordinate dall’Ufficio di pastorale familiare diretto da don Sabatino Fioriti. Per l’accompagnamento della vita familiare ci sono varie esperienze, dall’équipe “Notre Dame” alle iniziative di movimenti e aggregazioni ecclesiali. Siamo convinti che la famiglia sia un nucleo vitale della realtà ecclesiale e della comunità civile: conservando bene la famiglia, è la società intera a crescere nell’armonia, nel senso del rispetto reciproco, della giustizia e della pace, oltre che in un autentico cammino di discernimento spirituale».

Con quali aspettative siete giunti a Milano?
La prima era quella di essere confermati nella fede dal Successore di Pietro. Benedetto XVI è venuto a confermarci nel messaggio fondamentale del Vangelo circa la vita familiare, cioè l’unità dei due consacrata in Dio, feconda e viva nella comunità e nella storia. Seconda e importante finalità era quella di uno scambio di esperienze tra comunità cristiane di tutto il mondo: in questo senso l’incontro ci ha consentito di percepire quanto la famiglia sia vitale e decisiva ovunque la Chiesa sia presente. E poi un terzo messaggio, molto importante proprio in quanto partito dalla capitale industriale, economica e produttiva del Paese: il lavoro è fondamentale, perché nel lavoro si esprime la dignità della persona umana. Non meno decisivo, infine, il riconoscimento della festa quale scuola della gratitudine e della gratuità: chi celebra qualunque festa, a cominciare dalla domenica, cresce in qualità umana e spirituale. Una società che cancella la domenica impoverisce l’uomo e attenta all’armonia e all’unità della famiglia.

A proposito di lavoro che manca, a Milano il Fondo Famiglia-Lavoro è stato rilanciato dal cardinale Scola… Come la Chiesa locale può essere vicina ai lavoratori?
Anche noi abbiamo provato a realizzare in diocesi il micro-credito sociale e varie forme di assistenza ramificata attraverso i punti di ascolto Caritas. Un segnale importante, ma purtroppo non risolutivo, perché il dramma è superiore alle nostre povere forze. Ecco allora che la Chiesa deve continuare a dare agli uomini la speranza. Una speranza più grande di tutte le possibili ragioni di disperazione, che sappia sostenere nella prova e ricordare che i tempi difficili non sono mai mancati: si pensi solo al dopoguerra, anche se forse sono proprio quelli i tempi in cui le energie migliori si possono sprigionare, se si procede in un cammino di solidarietà reciproca, di sostegno, di vicinanza e anche, naturalmente, di profondo radicamento nella fede.

Oltre a non trovare un lavoro e una casa, i giovani sembrano “imprendibili” sul versante della fede in parrocchia…
Nel tempo che stiamo vivendo, in questa cosiddetta “condizione post-moderna”, si sta ampliando la distanza fra le generazioni. Oggi i cosiddetti “nativi digitali” hanno un rapporto con la realtà che passa con grande scioltezza e naturalezza attraverso ilweb, cosa che per la maggior parte degli adulti non è altrettanto ovvia. Questo comporta anche una differenza di percezione della realtà, che spesso produce abissi comunicativi fra le generazioni. Allora una prima indicazione importante è quella di ascoltare il tempo in cui stiamo vivendo. Imparare i linguaggi comunicativi per cercare di trasmettere attraverso essi quei contenuti valoriali che rendono la vita bella e degna di essere vissuta. Dare tempo ai giovani, ai ragazzi, accompagnarli, ascoltarli, non rinunciare mai a proporre loro quanto di più vero e alto nella vita abbiamo scoperto. Soprattutto non appiattire mai la proposta, ma saperla presentare attraverso la via dell’ascolto, del dialogo, della tenerezza e dell’amore.

Il terremoto in Emilia, avvertito anche a Milano, in pochi secondi ha sbriciolato famiglie, lavoro e festa. La solidarietà verso queste popolazioni ha costituito un surplus di riflessione durante l’Incontro…
In primo luogo il terremoto ci ha ricordato la grande fragilità della vita. Penso alle vittime, ai loro familiari, ma anche a quel senso di smarrimento che segue la perdita improvvisa di tante piccole e grandi sicurezze. In questo senso il terremoto ci richiama a liberarci da ogni delirio di onnipotenza e a essere più umili e solidali. In secondo luogo il sisma in Emilia ci ha mostrato un popolo dignitoso e deciso a combattere anche contro la violenza della natura. Un popolo che continua ad avere speranza. In questo certamente incidono la storia, la cultura, la secolare esperienza anche religiosa di questa gente, che ha imparato a lottare e a sperare confidando in Dio. La straordinaria macchina degli aiuti e della solidarietà sta dando un segnale forte all’Italia: grazie a Dio l’egoismo non vince, c’è anzi una forte spinta solidaristica che viene non solo dalle istituzioni, ma anche da innumerevoli aggregazioni e realtà civili ed ecclesiali.