Si avvicina un evento che, pur avendo come sfondo immediato la Diocesi di Milano, per il significato che riveste supera abbondantemente i confini diocesani, per riguardare la Chiesa tutta, cattolica nel senso pieno della parola. Alludo alla visita che il Patriarca Bartolomeo I compirà il 15 e 16 maggio a Milano. Evento che rientra nel cammino pastorale dell’anno, come la Lettera pastorale del cardinale Scola anticipava, la visita ci permette di dare solennità alle celebrazioni immaginate per l’Anno Costantiniano. Addirittura ne diviene il momento centrale.
Come l’Arcivescovo ha spiegato nella Lettera, l’Anno Costantiniano è un’occasione privilegiata – per Milano, ma non solo – per tornare a riflettere sul fondamentale lascito della tarda antichità, quando il pensiero giuridico romano incontrò la novità cristiana, realizzando alcune conquiste decisive per il progresso spirituale dell’umanità e diede inizio alla libertà religiosa.
Tornare a comprendere come la fede cristiana in quel periodo, e in seguito anche ai mutamenti generati dall’Editto di Costantino, ha contribuito in un modo determinante a costruire la cultura europea, innestando in essa un’idea di uomo e di bene comune originali e uniche, è un’operazione che aiuta le nostre comunità cristiane, chiamate non soltanto a comprendere il travaglio culturale in atto dentro le nostre società, ma a vedere in che modo la fede cristiana può continuare in questo contesto in mutazione a essere un ingrediente indispensabile nella costruzione dell’uomo e della società.
La fede cristiana, forte della rivelazione del volto di Dio che non assorbe in sé l’umano, ma ne rifonda in modo libero l’identità, è all’origine di una declinazione inedita del rapporto religione-potere che ha consentito lo sviluppo delle culture e delle società europee capaci di mettere al centro l’uomo e le esigenze ultime che lo costituiscono come persona (il desiderio di libertà, di felicità, di compimento).
La visita del Patriarca, le parole che ci consegnerà come lascito nella lectio a due voci con il nostro Arcivescovo, sono perciò un momento di grazia che non va disperso, ma vissuto come occasione per raccogliere energie ed avere slancio in quel compito di rifondazione del legame sociale e dell’azione politica di cui la nostra società mostra di avere sempre più bisogno.
da Avvenire,04/05/2013