Si è da poco conclusa la visita del Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli alla nostra Diocesi. A dispetto di un mondo dell’informazione che non ha saputo cogliere l’importanza di questo evento, relegandolo a un’appendice nel vortice di questi giorni, l’incontro tra le nostre due Chiese è stato definito come epocale dal nostro Arcivescovo, e a ragione. D’altronde così lo aveva immaginato e programmato, come annunciato nella sua Lettera pastorale.
Un incontro epocale anzitutto perché non si è trattato di una visita di cortesia, ma di un vero momento di comunione tra due Chiese, che si sono nutrite della profonda comunione generata dallo Spirito, manifestata nella legittima pluriformità delle esperienze e delle Tradizioni. La liturgia ecumenica vissuta giovedì mattina a Sant’Ambrogio è stata davvero un bell’esempio (pur sempre pallido!) di quella comunione e di quella unità che Gesù invocava dal Padre per la sua Chiesa, come abbiamo ascoltato nel Vangelo proclamato domenica scorsa. L’invocazione di Gesù a essere uno, a essere fedeli nell’unità e nella comunione è stato veramente assaporato in una liturgia che ha fuso assieme tradizioni e liturgie, ha visto riuniti assieme nella preghiera cristiani di Chiese e comunità che nella storia hanno conosciuto il trauma della lacerazione e della contrapposizione; addirittura ha visto la presenza di uomini e donne di altre religioni, manifestando in questo modo la ricerca di quel Dio che con il Suo Spirito e la Sua provvidenza anima la storia degli uomini, guidandola verso il bene, al di là del nostro peccato e delle nostre debolezze.
La visita del Patriarca Bartolomeo è stata epocale, poi, perché ha permesso al contesto culturale più ampio di tornare con serenità a operare una rilettura della svolta operata dall’Editto di Milano. Il XVII centenario è stato vissuto come l’occasione per riflettere sul contributo che la fede cristiana dà alla cultura e alla società nel pensare a concetti e a strutture fondamentali dell’identità umana, quali l’idea di libertà, il legame sociale che ci costituisce come gruppo sociale e ci permette di aiutare ogni singola persona umana a scoprire il fondamento di verità che la anima e la guida. Le parole del Patriarca sono state al riguardo dense e significative, e meritano da parte nostra ripresa e riflessione. Definire la libertà come “permanere in Dio”; indicare la nostra cultura come strumento che fa ammalare la libertà, perché la distacca dal suo fondamento; incitare i cristiani a vivere la libertà come forma di testimonianza, fino al martirio; chiedere alle istituzioni civili il rispetto di una libertà religiosa concepita come il riconoscimento del giusto ruolo che Dio deve avere nella costruzione delle leggi e nelle definizione dei valori, sono tutti contributi a una riflessione sull’Editto che giustamente va continuata.
Sarebbero altri ancora i motivi che rendono giustamente epocale questa visita. Per il momento soffermiamoci su questi, facendone tesoro e trasformandoli in energia per quel lavoro di costruzione del legame tra gli uomini che questo tempo di cambiamento e travaglio culturale ci chiede con insistenza.
da Avvenire, 18/05/2013