«Ha già la tessera di questo negozio? Vuole farla? Le dà vantaggi e non costa niente!». Può capitare che ci venga chiesto di dare un nome per arricchire una banca dati di compratori fedeli. Provocatoriamente mi immagino che l’8 dicembre, giornata della «festa dell’adesione» all’Azione Cattolica, qualcuno si senta dire: «Vuoi fare la tessera? Costa una scelta convinta e ti dà il vantaggio di essere accompagnato a viverla ogni giorno e a sentirti felice di averla fatta».
Quando l’Ac è nata, più o meno quindici decenni fa, era profetico e sorprendente l’obiettivo che questa associazione decideva di darsi: una adesione profonda al Vangelo – ben nutrita da preghiera, servizio, formazione, impegno – e poi un senso di appartenenza forte alla Chiesa, con la scelta di perseguirne in pieno tutti gli obiettivi. Era sorprendente perché non si focalizzava su un aspetto della vita cristiana, ma li contemplava tutti e ci si associava per aiutarsi a viverli tutti, da laici, nella quotidianità.
Oggi la radicalità della proposta non è cambiata. Ciò che cambia nel presente è che anche lo strumento scelto, l’associazione, è diventato elemento sorprendente. Proporre un’appartenenza forte nel tempo delle appartenenze deboli sembra una battaglia persa in partenza. L’invito a metterci la firma e la faccia per Gesù e la sua Chiesa non è in linea con la tendenza dell’oggi a rinchiudersi nel privato, a non partecipare a un sogno collettivo.
Eppure, quando mi accorgo che in Ac dare un nome e un cognome significa entrare in una dinamica fraterna e non in una massa indistinta, trovo grandiosa la disposizione di soci e responsabili che vanno a cercare uno a uno quanti rinnovano l’adesione per invitarli a confermare il senso di una scelta, e poi quanti non aderiscono più, per capire quali difficoltà stanno vivendo e quindi quanti potrebbero aderire compiendo una scelta vocazionale che loro si addice. L’attenzione ai singoli è perno di tutta la proposta formativa. Gli incontri tra persone fisiche e non virtuali che avvengono ogni anno nella giornata dell’adesione sono segni di un soggetto vivo, che ha a cuore la vita della gente lì dove vive. Se questi scambi di attenzioni e cura non si verificano, l’Ac si spegne e la comunità locale si impoverisce di vivacità, di laici formati e responsabili, che edificano la Chiesa senza attendere che sia solo un sacerdote a prendere l’iniziativa.
«Ci siamo!» è lo slogan che tutta l’Ac nazionale pronuncia per questa giornata, alludendo alla capillarità della diffusione in seimila parrocchie italiane, ma anche alla voglia di rendersi partecipi e affidabili. «Anche nei giorni feriali!», aggiungiamo nell’Ac di Milano, affermando che nella ferialità della vita, e non solo in qualche evento, c’è la conferma della propria scelta di fede. Proprio nel quotidiano si gioca la scommessa culturale dell’oggi, sulla quale l’Ac non vuole tirarsi indietro: famiglia, scuola, lavoro, comunità, povertà, politica, riflessione documentata e produzione di senso. La ferialità è uno sguardo che permette di cogliere l’intensità della vita gli uni degli altri, sacerdoti compresi, sapendo andare oltre la facciata, immaginando quanto c’è di profondo, grandioso e faticoso in ogni vita.
Insomma, il «pezzo forte» dell’Ac, quello che le permette di parlare in forma pubblica come soggetto plurale, di mantenere vivo un dialogo istituzionale, di contribuire alla cultura di questo tempo, deve essere l’autenticità di migliaia di vite quotidiane, di laici che si spendono senza clamori nella preghiera, nella condivisione, nel servizio. Immagino tante nostre singole adesioni che diventano meravigliosa forza per questa Chiesa e per questo Paese.