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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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10 ottobre

Audaci nella malattia,
tenaci nella sofferenza
Il dono della fortezza e la salute mentale

La vicinanza dell’Arcivescovo a chi soffre di questa malattia, ai familiari, agli operatori e ai volontari nel Messaggio scritto in occasione della 21a Giornata mondiale

di Angelo Card. SCOLA Arcivescovo di Milano

1 Ottobre 2013

Il prossimo 10 ottobre ricorre la 21a Giornata Mondiale della Salute Mentale e anche quest’anno colgo l’occasione per esprimere la mia vicinanza a coloro che soffrono di questa malattia, ai loro famigliari, agli operatori e ai volontari che li accompagnano.

La fortezza quale preziosa risorsa in un tempo di crisi

Accompagnare persone che soffrono chiede speranza da una parte e fortezza dall’altra, due virtù più che mai necessarie in un tempo di travaglio come quello che stiamo vivendo. Sia la speranza, virtù teologale, quindi frutto della grazia, sia la fortezza, una delle virtù cardinali, quelle essenziali per una vita umana pienamente matura, coinvolgono pienamente gli affetti. Oggi spesso ci si chiede se valga la pena impegnarsi dal momento che, in un tempo caratterizzato più da tendenze involutive e addirittura depressive che da segnali di ripresa e di crescita, non sembrano esserci evidenti spiragli di luce. Questi anni di crisi hanno fatto venire a galla un profondo senso di precarietà, di incertezza, di paure a livello sia individuale che comunitario. Ci si spaventa alle prime difficoltà, lasciando quanto si è intrapreso poco prima. Sembrano essere lontani i tempi in cui si era motivati a perseverare nelle difficoltà, nel lavoro, nella vita coniugale e relazionale. Come dare il meglio di sé, in una ricerca del bene, di un bene che non è solo personale, ma anche comunitario?

Nella lettera pastorale “Il campo è il mondo” ho voluto invitare i cristiani della Diocesi di Milano a non restringere mai l’ambito di esercizio della loro testimonianza, a non escludere dalla loro sensibilità nessuna periferia esistenziale, e quindi neppure quella rappresentata da chi è segnato da una malattia mentale. La virtù cardinale della fortezza determina la decisione di affrontare e superare le paure, gli ostacoli, di resistere alle avversità senza scoraggiarsi. Questa virtù, questo coraggio, che ha distinto il mio predecessore San Carlo Borromeo quando durante la peste a Milano svolgeva il suo ministero pastorale fra gli abitanti della città, è richiesta anche a noi oggi in modo particolarmente urgente. Viviamo in un contesto che tende a valorizzare l’effimero, che cerca di sfuggire sofferenze, paure e dispiaceri, come se fossero eccezioni e non circostanze della vita umana. In particolare si cerca di evitare tutto quello che ci ricorda o ci anticipa la morte come la malattia, la vecchiaia, le esperienze di separazione o di perdita. Invece, solo accettando il nostro essere uomini limitati potremo trovare il giusto coraggio, quell’audacia necessaria per guardare le nostre impotenze così da poter accettare come occasioni di crescita le varie esperienze di solitudine, frustrazione, le tante tristezze che rischiano di spegnere il desiderio di vita. E questa vulnerabilità tocca anche la nostra psiche come accade con le umiliazioni subite da chi ha perso il lavoro, da chi è stigmatizzato come malato mentale, da chi ha fallito nel tentativo di ricostruirsi una vita dignitosa. Accettare il proprio limite richiede di essere molto amato. Come ci ricorda San Paolo nella Seconda Lettera ai Corinti «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio» (2Cor 4,7): la nostra debolezza può diventare espressione della forza di Dio, di un Dio al quale possiamo affidare le nostre tribolazioni e nel quale possiamo riposare con fiducia così da affrontare le varie situazioni, anche le più gravi, senza panico confidando nel Suo aiuto e nella Sua forza. È infatti in questi momenti della nostra vita, davanti a insuccessi e sofferenze, che la virtù della fortezza ci sorregge.

Fortezza e salute mentale: come affrontare la malattia mentale con coraggio

Nella vita quotidiana ci sono eventi che mettono a prova la nostra salute mentale come, ad esempio, la morte di una persona cara, la perdita del lavoro, problemi finanziari o seri problemi di malattia. Il nostro equilibrio, quello della nostra famiglia, la stima di noi stessi sembrano sgretolarsi. La capacità di dare un senso a quanto viviamo sembra venire meno, le emozioni rischiano di avere il sopravvento: si può cadere in uno stato depressivo. E questo è quello che accade quando nella vita, nostra o di un nostro caro, si manifesta una patologia psichiatrica: accanto a queste emozioni, ci si chiede di chi sia la colpa, si cercano le cause. Sarebbe invece più che mai necessario attingere a quella fortezza che permette di affrontare tali prove senza esserne schiacciati ma, al contrario, riscoprendo il significato della propria esistenza. E questo non “nonostante” ma “attraverso” questa sofferenza. Le persone creative, flessibili, che sanno imparare dall’esperienza, dovrebbero essere quelle più inclini a trasformare una crisi in occasione di cambiamento. La capacità di continuare a vedere il buono e il bello che la vita ancora riserva, li salvaguarda dal rischio di indurirsi, di diventare aggressivi o di isolarsi dalla realtà. Al contrario li rende più ricchi di umanità.

Nel periodo della prova, all’esordio della malattia o quando si acquista la consapevolezza che tale malattia potrebbe non avere fine, è difficile guardare avanti con fiducia, convinti che si saprà superare positivamente tale sfida. Non è questione di semplice resistenza, ma di saper affrontare e uscire dalla difficoltà riconoscendo che la vita ha un senso, cioè un significato e una direzione. È qui che la virtù teologale della speranza rivela tutta la sua importanza. La fede in Gesù genera in noi la speranza che Egli porterà a termine il suo disegno di bene e di amore sulla nostra vita, e lo porterà a termine in modo definitivo. La vita eterna, infatti, cui la speranza ci fa anelare, ci rende consapevoli che l’esistenza è un cammino e che le prove e le difficoltà sono dei passi che la nostra libertà è chiamata a compiere. In questo cammino ci accompagnano quelle relazioni, di solito familiari, nelle quali siamo veramente incoraggiati e rassicurati.

Una comunità capace di sostenere chi ha una malattia mentale e la sua famiglia

La capacità di fronteggiare le difficoltà non è una qualità acquisita una volta per tutte, ma varia a seconda delle circostanze e del contesto. E a questa capacità si può essere educati: fortezza e speranza maturano nella vita degli uomini all’interno di un preciso ambito comunitario ed ecclesiale. Così sostenuti sarà possibile rafforzare atteggiamenti positivi verso gli eventi della vita, comunicare senza negarle le difficoltà che si vivono, rinvigorire la nostra percezione del vero, del buono e del bello per dare un senso a quanto successo, chiedere e accettare aiuto da amici e dalla comunità in cui si è inseriti. In tale percorso educativo questa rete amicale e sociale può aiutare la famiglia incoraggiandola ad orientare meglio la sua attenzione non tanto sui presunti deficit o carenze, ma sulle risorse e le potenzialità in campo. La libertà del singolo è chiamata, per come può e in qualsiasi condizione si trovi, a vivere in continuo dialogo con la comunità che l’accoglie e l’accompagna.

La comunità dovrebbe offrire un contesto di speranza, di legami sociali così che la persona non resti vittima degli eventi, ma si attivi per viverli da protagonista.

Da qui emerge con chiarezza come le nostre comunità, civili ed ecclesiali, abbiano una loro responsabilità nel favorire questo processo nelle famiglie delle persone con malattia mentale: sono comunità capaci di incoraggiare e rassicurare, offrire ascolto a chi è in difficoltà così da aiutare a recuperare e mantenere la speranza da una parte e la fortezza dall’altra? Se non si può cambiare un evento, si può infatti aiutare a viverlo in modo diverso. Ci sono storie di persone con malattia mentale che sono riuscite ad accettare la loro nuova situazione. La malattia le ha obbligate a fermarsi, a riflettere. Hanno saputo reagire sorrette dalla speranza e dalla fortezza, avviando così un processo di guarigione, la costruzione di un percorso di vita positivo che, in un circolo virtuoso, ha favorito poi una maggiore forza personale, più stima in sé, una più sviluppata spiritualità, un maggiore apprezzamento della vita. Queste persone, e le loro famiglie, hanno avuto fiducia nel Padre celeste che ci rende capaci di affrontare i problemi con la convinzione di non essere in balia degli eventi. Hanno accettato, pur con fatica, i cambiamenti cercando di viverli più come occasione di crescita che come difficoltà da evitare. Hanno imparato a vedere gli aspetti positivi della vita.

Ecco il mio augurio: sappiano i genitori dedicare tempo ai propri figli per dare loro una base sicura da cui ripartire per reagire di fronte alle avversità, una speranza di vita a cui riferirsi nei momenti di crisi per coglierli come opportunità di crescita. Anche alla presenza di una malattia mentale possano la speranza e la fortezza alimentare coraggio ed entusiasmo per perseverare con costanza in ciò che si è cominciato con fiducia. Come ci ricorda il libro dell’Esodo, il Signore combatterà per noi e noi non saremo soli (cfr. Es 14,14).

Quella "zona grigia"
della sofferenza

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità i malati di mente sono un decimo degli abitanti della terra. Ma il numero cresce di molto se si allarga il cerchio ai sofferenti psichici, persone che non hanno sviluppato ancora, e forse non svilupperanno mai, una patologia certificata, ma convivono con ansia, attacchi di panico, depressione. Secondo Paola Soncini, dell’area Salute Mentale della Caritas Ambrosiana, proprio questa zona grigia, dai confini scontornati, sfuggenti, difficilmente definibili è in rapido aumento nel mondo Occidentale e, in particolare, nelle aree metropolitane: dunque, in particolar modo, in quella città infinita che è la Grande Milano, con il capoluogo e le cittadine attorno. La ragione sarebbe la crisi economica che ha sgretolato certezze, stili di vita, abitudini, facendo emergere il fondo limaccioso su cui si poggiavano. «Sono persone che soffrono, ma non chiedono aiuto e dunque restano sconosciuti agli operatori dei servizi e così facendo, non migliorano le loro condizioni», spiega Soncini