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Anoressia e bulimia QUANDO IL CIBO DIVENTA UN NEMICO

12 Maggio 2006

I disturbi del comportamento alimentare colpiscono ragazze sempre più giovani, anche prima dell’età dello sviluppo. Il dottor Stefano Erzegovesi, responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale San Raffaele-Turro, ci aiuta a capire questo fenomeno in crescita.

di Stefania Cecchetti

In genere la famiglia è l’ultima che se ne accorge, perché sono disturbi difficili da riconoscere. Eppure di anoressia e bulimia si è parlato tanto, negli ultimi anni, come delle nuove frontiere del disagio psicologico, giovanile e femminile in primis.

«Studi specifici per i giovani non ce ne sono – spiega il dottor Stefano Erzegovesi, Responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale San Raffaele Turro -. Considerata la fascia di età tra il 12 e 25 anni si stima un’incidenza media dell’anoressia intorno allo 0,3-0,5% e della bulimia intorno all’1%. Queste sono le forme conclamate che raggiungono l’attenzione del medico e che quindi sono rilevabili dalle statistiche, ma secondo alcuni testi l’incidenza reale di forme un po’ più lievi sarebbe anche cinque dieci volte superiore».

Un fenomeno in evoluzione, tanto che anche le classificazioni in merito vengono costantemente riaggiornate. Per esempio, se prima si consideravano anoressia e bulimia come due problemi separati, oggi si tende a vederli come due facce di un unico disturbo del comportamento alimentare, pur con le dovute differenze: «Dal punto di vista dei sintomi – precisa Erzegovesi – nella bulimia il segno chiave è la cosiddetta “abbuffata”, l’assunzione di cibo in maniera molto rapida e in quantità decisamente superiori al normale e, soprattutto, dove la persona ha la sensazione di perdere il controllo. Del tipo: mi taglio una fettina di torta e poi, quasi senza accorgermi mangio tutta la torta. Un’altra caratteristica è che l’abbuffata è vissuta con vergogna e quindi avviene di nascosto dagli altri. Nell’anoressia, invece, il sintomo chiave è la tendenza rifiutare il cibo, pur in presenza di appetito. Mentre, sul versante del pensiero, c’è la paura di perdere il controllo e di ingrassare, in una sorta di spirale: più dimagrisco, più temo di riprendere il peso perso se ricomincio a mangiare, meno mangio. Si può arrivare alla fine, quasi al digiuno. Ma c’è anche chi ricorre al vomito, all’uso di diuretici e lassativi o all’esercizio fisico eccessivo nel tentativo di dimagrire».

Spesso si è additato come colpevole il modello di magrezza imperante nella nostra società. Ma secondo Erzegovesi non può essere l’unica causa del diffondersi della malattia: «Certamente esiste quella che viene chiamata una “pressione sociale” verso la magrezza, con una influenza negativa nei disturbi alimentari, che infatti sono più frequenti nelle società occidentali. Ma il messaggio sulla magrezza arriva a tutti i giovani, mentre solo pochi sviluppano la malattia».

Quali sono allora le condizioni di fragilità psicologica che possono predisporre all’anoressia? «Ci sono varie correnti di pensiero, in generale si è notato il ricorrere tra i malati di una caratteristica della personalità definita come perfezionismo: si tratta di ragazzi che tendono a essere molto severi con se stessi, si danno obiettivi molto alti mortificandosi se non li raggiungono». Per quel che riguarda invece il tanto demonizzato rapporto con la famiglia, in particolare con la mamma, Erzegovesi tende a ridimensionare: «La famiglia ha un ruolo, ma non è la causa di questi disturbi. E, soprattutto, se i genitori si sentono colpevolizzati, meno facilmente riescono a collaborare nella terapia. La famiglia è più una risorsa che un problema per quel che riguarda i disturbi alimentari».

Ecco perché i familiari devono vigilare e cogliere i primi segnali di un disturbo che comincia in maniera subdola: «In generale, chi ha un disturbo alimentare inizia a vivere il cibo un po’ come un nemico, ad avere un atteggiamento teso e preoccupato a tavola. L’altra cosa che si nota sono le piccole scuse per richiedere porzioni sempre più piccole: la singola giornata in cui si ha poca fame capita a tutti, ma se la cosa dura per settimane deve suscitare preoccupazione. Terzo aspetto: cresce la preoccupazione del soggetto per il proprio aspetto fisico, con il bisogno continuo di rassicurazioni».

Piccole avvisaglie da non sottovalutare. Anche perché ormai ci si ammala di anoressia-bulimia in epoche insospettabili: «Dati epidemiologici non ce ne sono ancora – conclude Erzegovesi -. Le posso dire che nel nostro Centro, in questo momento ci sono cinque ragazze tra i 12 e i 15 anni, mentre in passato capitava di vederne una o due all’anno. Sicuramente l’età media delle pazienti scende: a volte il disturbo compare prima dello sviluppo, con tutti i problemi che questo può comportare».