Fa un po’ impressione vedere le tonalità, insieme delicate e famose nel mondo – dal rosa pallido al grigio, all’aranciato -, non sulla facciata e sulle guglie del Duomo, ma là dove vengono alla luce dalle profondità della terra e dei tempi. Le Cave di marmo di Candoglia, splendido angolo della zona alpina meridionale dell’Ivrea-Verbano, non sono solo una miniera reale di ricchezza geologica, di lavoro e di ingegno umano, ma hanno il fascino straordinario della storia che diviene bellezza un centinaio di chilometri più a sud, a Milano, col Duomo che da lontano pare una «merlettura senza fine» (come scriveva Paul Claudel) e invece è marmo.
Allora è l’Arcivescovo che, in una giornata abbagliante di sole, sale dalla “sua” Cattedrale alle Cave per visitarle, accolto dal presidente della Veneranda Fabbrica Angelo Caloia, dai membri del Consiglio di amministrazione, da maestranze e operai. C’è anche don Adriano Meazza, parroco di Albo, dove si trova la frazione di Candoglia. Subito il cardinale Scola dice: «Desideravo da molto tempo conoscere questa radice antichissima, di cui sarebbe opportuno diffondere la coscienza tra la gente (anche se non è possibile una apertura delle Cave al pubblico, ndr). La cosa che, tuttavia, mi sta più a cuore è il rapporto umano con tutti voi».
Dapprima l’Arcivescovo sosta negli uffici della Fabbrica, nel paesino di Candoglia, dove, in una piccola stanza al piano superiore, si fermò a dormire il cardinale Montini negli anni Sessanta. Poi si sale alla zona dell’estrazione del marmo, davanti alla grande e maestosa “Cava Madre”: il Cardinale recita la preghiera dell’Angelus, poi riflette: «Sono molto contento di vedere queste cave così preziose per la Cattedrale, che prende nome appunto dalla “Cattedra”, la sede del Vescovo. Ma oltre a questo evidente valore religioso e di esempio celebrativo e liturgico per l’intera diocesi, il Duomo svolge un alto valore civile e sociale, perché per la grande metropoli diventa un riferimento universale. E, tuttavia, senza di voi e chi vi ha preceduto nel prezioso impegno che svolgete con diverse responsabilità, il Duomo non esisterebbe. Qui davvero si vede che anche la pietra è una realtà viva. Le Cave sono una premessa molto significativa, resa viva dal lavoro dell’uomo per il tempio di Dio. Il Duomo è un luogo che ospita le pietre vive che sono, come dice la Sacra Scrittura, i fedeli. Noi tutti, quindi, a nostra volta ospitati nella grande architettura cattedrale, impreziosita dalla qualità di questo splendido marmo che abbiamo potuto toccare con mano nel vero senso della parola».
Una concretezza di lavoro anche assai faticoso, che vede coinvolti quotidianamente nelle Cave undici cavatori e quattro ornatisti, mentre nel “cantiere ininterrotto” che è il Duomo stesso gli operai sono ogni giorno cinquantacinque. Centocinquanta, in totale, i dipendenti della Veneranda Fabbrica.
La visita prosegue. Anche il Cardinale si inoltra nella galleria della Cava Madre che, tra la poderosa volta e le pareti sostenute dal cemento armato (lavoro di consolidamento voluto dall’allora architetto della Fabbrica, Carlo Ferrari da Passano, e terminato nel 1969), e i blocchi di marmo in fase di taglio, racconta più di tante parole. L’Arcivescovo si informa dal presidente Caloia e dall’attuale architetto, Benigno Mőrlin Visconti: il cantiere Madre data dal 1680, mentre le prime attività estrattive a fondovalle si possono far risalire all’epoca romana; in ogni caso fin dal XIII secolo inizia l’attività più intensa per la costruzione del Duomo. E pare di vederlo ancora, come in alcune antiche stampe, il trasporto del marmo che, da Candoglia, passa per via fluviale sul Toce, fino al Lago Maggiore, e infine al Ticino e al Naviglio, destinazione piazza del Duomo.
Si sale, con le jeep, alla cosiddetta Casa del Carrettone, 750 metri di altezza, presso una cava dismessa da molti decenni, dove il cardinale Giovanni Colombo soggiornava d’estate, dicendo Messa nella piccola cappella con qualche arredo che ricorda i capitelli e i riccioli della scultura della Cattedrale. Infine, a 900 metri, nel punto più alto di questo immenso “cantiere” marmoreo: in cui nel complesso si arrivano a tagliare sei metri quadri di materiale all’ora, prima con un filo cosiddetto diamantato, poi con tagli verticali e le successive rotture secondo le venature stesse del marmo. Un dato basta per tutti: ogni anno sono 350 i metri cubi di marmo estratti, soli settanta dei quali utili a ricostruzioni, utilizzo – per esempio per nuove statue poste in Cattedrale – e restauri.