«Il Natale è come una finta nel calcio. Un momento di sospensione della giocata che ti fa vincere il tackle. Così nella nostra quotidianità deve essere una battuta di distacco che ci consente di riacciuffare il senso della vita». Il cardinale Angelo Scola esordisce azzardando un paragone che rivela una certa competenza nell’argomento calcistico. Guadagnando così punti sui suoi ascoltatori: gli allenatori delle 850 società sportive degli oratori della diocesi. Che da quel momento iniziano ad ascoltare le sue parole, sembra, con ancora più attenzione.
Cuore rossonero, Scola confessa che non si aspettava una così ampia partecipazione, «vista la concomitanza del posticipo di campionato, Milan-Roma». E invece a decine riempiono la sala di via Sant’Antonio, per i consueti auguri natalizi che l’Arcivescovo di Milano rivolge agli sportivi ambrosiani. Nel 2012 ha incontrato i dirigenti, ora tocca a chi siede in panchina.
«Per i ragazzi – spiega Scola – voi allenatori siete delle figure mitiche, avete un grande peso su di loro». E quindi «siete fondamentali per superare due dei problemi di questa epoca: la frammentazione e il narcisismo». Il primo, dovuto alle tante attività quotidiane di giovani e giovanissimi, si supera puntando all’unità, con un patto educativo che aiuti i ragazzi ad attraversare i tanti territori che sono sconnessi tra loro: la scuola, il catechismo, la lezione di musica, la famiglia, gli allenamenti. «Aiutiamo i ragazzi – chiede l’Arcivescovo – a giocare loro stessi in ogni momento della giornata. Voi potete farlo più di altri – aggiunge rivolto agli allenatori – perché nel frammento sport il ragazzo investe la totalità dell’io molto più che negli altri ambiti. A partire dall’utilizzo del corpo come strumento di espressione di sé». Anche contro il narcisismo la ricetta è «un’alleanza educativa – sostiene Scola -, la fusione di comunità educanti che coinvolgono tutte le persone coinvolte nella crescita dei ragazzi».
A introdurre il saluto dell’Arcivescovo, una serie di campioni anticipati dal Vicario di settore monsignor Pierantonio Tremolada, che parla dello sport come elemento «che ha a che fare con la bellezza e la verità della vita».
Charlie Recalcati nel basket ha vinto tutto da giocatore, quasi tutto da allenatore ed è il coach dell’indimenticabile argento della Nazionale azzurra alle Olimpiadi di Atene. Risultati ottenuti partendo dall’oratorio «e portando in Nazionale un po’ dello spirito dell’oratorio», rivela. Vale a dire «quell’atteggiamento che ti fa riconoscere con serenità i limiti tuoi e del tuo compagno: è il primo passo per iniziare a superarli». Percorso simile a quello di Pierluigi Marzorati, presidente del Coni Lombardia, che sottolinea i valori dello sport come fondamento per una crescita umana.
È sempre basket, ma in carrozzina, quello che allena Dionigi Cappelletti: «Nello sport come nella vita – spiega a partire dalla sua esperienza -, a fare la differenza sono le motivazioni. Non solo il giocare, ma il perché».
L’intervento entusiasta di Marco Caccianiga, responsabile della scuola calcio del Varese, racconta la realtà di una società professionistica «in cui i piccoli non sono selezionati per vincere. In tenera età è facile ottenere vittorie, basta scegliere dieci bambini più sviluppati dal punto di vista motorio». E invece a Varese giocano tutti, «e abbiamo provato addirittura a perdere 48-0, contro l’Atalanta. Ma all’allenamento due giorni dopo i bambini c’erano ancora tutti. Questo è il vero risultato». Senza trascurare però, aggiunge, «il desiderio di vincere: è quello a cui puntiamo: è necessario, è ciò che insegna a essere tenaci».
Don Alessio Albertini, segretario della Commissione diocesana sport, e don Samuele Marelli, direttore della Fom, concludono snocciolando i numeri dello sport parrocchiale in Diocesi: 850 società, 80 mila iscritti, 10 mila adulti impegnati a vario titolo come tecnici o dirigenti. A loro è affidato Il tesoro del campo. Sport, educazione, comunità, un agile libretto di 20 pagine che vuole servire da guida affinché le società siano sempre più luogo di educazione. Per considerare i ragazzi, come vi si legge, «innanzitutto come persone, coinvolte in un processo di sviluppo al quale lo sport può contribuire».
È il mandato dell’Arcivescovo a tutte le squadre a tutti gli allenatori, affinché siano «uomini capaci di dare ai ragazzi le giuste motivazioni» sul campo da gioco e quindi nella vita.