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1 dicembre

«Aids, i malati non restino soli»

In occasione della Giornata mondiale di lotta contro il virus Hiv, la diocesi invita le parrocchie a pregare e a tenere alta l’attenzione su un fenomeno ancora diffuso (50 mila casi in Lombardia). Laura Rancilio descrive l’impegno di Caritas Ambrosiana

di Luisa BOVE

30 Novembre 2013

Dopo oltre 30 anni dalla prima diagnosi di Aids, il virus Hiv colpisce ben 35 milioni di persone nel mondo: solo in Lombardia sono quasi 50 mila. Un fenomeno ancora molto diffuso, di fronte al quale non si possono chiudere gli occhi. Per questo domenica 1 dicembre, Giornata mondiale di lotta all’Aids, la Diocesi di Milano invita i fedeli a una forte sensibilizzazione.

«È una problematica che deve interessare tutti, anche la comunità cristiana – esordisce Laura Rancilio, dell’Area dipendenze di Caritas Ambrosiana (lunedì-venerdì, ore 9.30-13, tel. 02.76037354; aids@caritasambrosiana.it) e presidente del Coordinamento regionale Case alloggio per persone con Hiv/Aids della Lombardia -. Partendo dalla frase evangelica “i poveri li avrete sempre con voi”, diciamo che queste persone esistono, vivono nei nostri territori e nelle nostre parrocchie, non sono solo negli ospedali o nelle case alloggio. Per la Giornata mondiale non abbiamo organizzato gesti eclatanti e iniziative particolari: vogliamo ricordarci nella quotidianità di queste persone che sono affette da una malattia importante».

Un fenomeno dalle cifre allarmanti, che non va quindi sottovalutato…
Dai dati dell’Istituto superiore di sanità risulta che la situazione di nuove infezioni in Italia è in costante, lento aumento. Purtroppo il sistema di sorveglianza sulle nuove infezioni non è ancora a regime. La stessa Regione Lombardia, che negli anni scorsi sembrava avere un numero di casi inferiore rispetto ad altre regioni, quest’anno . controllando le cartelle degli ospedali e delle cliniche – ha registrato ancora più di mille persone con una nuova infezione da Hiv. La Asl di Milano nel 2012 ne ha riscontrate 572, di cui il 10% nella fascia d’età tra i 16 e i 25 anni e il 13% in quella over 50; ma la fascia di età più rappresentata è quella centrale, perché più esposta e sessualmente più attiva. Si tratta di persone che noi non consideriamo mai come appartenenti al normale tessuto sociale.

Che cosa fa Caritas ambrosiana nell’ambito della lotta all’Aids?
Da 20 anni cerchiamo di sensibilizzare la comunità cristiana, ma anche quella civile, per informare su questo problema. Inoltre proponiamo percorsi di prevenzione da una parte e di incontro con le persone sieropositive dall’altra. Svolgiamo anche un grosso lavoro di coordinamento delle case alloggio della Lombardia, come occasione di riflessione valoriale, ma anche di confronto sull’aspetto tecnico, medico, sanitario, sociale e sui rapporti con Asl e Regione per riuscire a dare accoglienza dignitosa, di buon livello e di significato alle persone che in Lombardia hanno bisogno di accoglienza. Le case in Diocesi sono 11 (di cui due aperte da Caritas ambrosiana, “Teresa Gabrieli” e “Don Isidoro Meschi”, mentre in Lombardia sono in tutto 25.

A chi vi rivolgete per la prevenzione?
Incontriamo gruppi, parrocchie, scuole, genitori… anche se rispetto agli anni Novanta questo tema interessa poco. Eppure i numeri sono abbastanza elevati. Se poi pensiamo ai costi in termini economici, ma anche di valore della vita delle persone e delle relazioni, occorre davvero fare di più per ridurre il numero di nuove infezioni. Due estati fa la Regione Lombardia ha calcolato che per questo capitolo spende circa 300 milioni di euro solo di spese sanitarie, di cui 190 milioni per i farmaci.

Con i malati avete realizzato il progetto “La dimora del tempo sospeso”. Di che cosa si tratta?
È un laboratorio che ha coinvolto gli ospiti di alcune case alloggio che hanno scritto poesie: noi le abbiamo raccolte tutte e pubblicate in un libro on line accompagnate da immagini visibile sul sito di Caritas ambrosiana. Sono quasi 300 poesie che, al di là del valore letterario, raccontano il vissuto di persone che di solito fatichiamo a far parlare. Non si esprimono con le parole di tutti i giorni, ma hanno trovato nella poesia il veicolo per comunicare la loro sofferenza e dire ciò che pensano del mondo.