Sirio 26-29 marzo 2024
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Terra Santa

«A Betlemme viviamo in un carcere,
ma questa è la casa della pace»

Nonostante il muro israeliano che la circonda, separandola da Gerusalemme, e che la rende una prigione a cielo aperto, l’accoglienza e l’ospitalità della città è grande. Parla il francescano padre Nerwan Nasser Al-Bann, da due mesi parroco della comunità

di Daniele ROCCHI

16 Dicembre 2013

Dal 1 dicembre svetta luminoso in piena piazza della Natività, antistante l’omonima basilica, nel centro di Betlemme. Dall’alto dei suoi 15 metri di altezza, decorato con 12mila luci e 4000 palle, l’albero natalizio della città invita tutti, abitanti, turisti e pellegrini, a fare festa. Ogni anno, a Natale, Betlemme diventa capitale elettiva della fede cristiana e si dispone per questo ad accogliere decine di migliaia di pellegrini da tutto il mondo. Gli hotel e gli alberghi sono praticamente tutti esauriti. Nonostante il muro israeliano che la circonda, separandola da Gerusalemme, e che la rende una prigione a cielo aperto, l’accoglienza e l’ospitalità della città è grande. In fondo, dicono i betlemiti, «non abbiamo accolto la Sacra Famiglia duemila anni fa, da allora cerchiamo di recuperare!».

Un grande desiderio di pace

Padre Nerwan Nasser Al-Bann, francescano di origine irachena, è il parroco di Betlemme e guida la comunità latina che conta oltre 5500 fedeli ripartiti in circa 1400 famiglie. È arrivato a Betlemme da soli due mesi ed è subito rimasto colpito dall’ospitalità e dall’accoglienza della gente di qui. Dall’altro capo del telefono racconta del Natale imminente, del grande desiderio di pace della sua gente costretta a vivere nel ristretto spazio di una città, per loro chiusa da un muro, ma che vuole essere aperta al mondo.«Come home for Christmas», «Vieni a casa per Natale», è lo slogan di queste feste natalizie scelto dalla Municipalità di Betlemme: un invito rivolto non solo alla popolazione locale, ma «a tutti coloro che credono nella pace. Betlemme vuole essere la casa della pace, come ci ha insegnato Gesù». Per questo fervono preparativi non solo esteriori, come l’albero di 15 metri, le luminarie e le vetrine addobbate, ma anche interiori, «rivolgendo il nostro cuore ai fratelli cristiani, e non, che vivono il dramma della guerra e della violenza in Siria, in Iraq come anche in Egitto e Libano. Ai vescovi, ai sacerdoti e alle monache rapite. A loro va la nostra preghiera».

Non c’è muro che tenga

Se il cuore e la preghiera permettono di superare le distanze e le barriere per stare vicino «ai nostri fratelli dei Paesi vicini», i pellegrini che stanno arrivando in città «sono il segno tangibile della vicinanza della Chiesa universale al piccolo gregge che vive in Terra Santa. Grazie a loro non ci sentiamo soli, ma parte di un corpo». Padre Nasser, tuttavia, non si nasconde dietro quella che potrebbe sembrare un’immagine retorica: «Qui a Betlemme, davvero, i pellegrini che arrivano ci danno forza, speranza e soprattutto il coraggio di restare. Pellegrino significa anche lavoro, salario, la possibilità di avere una casa, di andare a scuola e quindi una vita migliore per le nostre famiglie. Non è mica facile vivere qui – spiega -. Non abbiamo libertà di movimento, viviamo in un carcere. Mancano molte cose. Devo essere sincero: se la situazione resterà così, quale futuro avremo? Ogni giorno parliamo con la nostra gente, cerchiamo di infondere coraggio e speranza. Tanti, soprattutto i giovani, meditano di andarsene per farsi una vita fuori, all’estero. Solo con condizioni di vita migliori, con il rispetto della libertà e dei diritti, resteranno. Tante famiglie vengono in parrocchia a chiedere un lavoro. Non vogliono soldi, ma lavorare per provvedere ai loro bisogni». Pace significa anche lavoro, a Betlemme come nei Territori palestinesi.

Natale a Betlemme diventa anche un monito

«La pace passa per la giustizia e il rispetto del diritto. La preghiera della nostra comunità di Betlemme è un inno all’amore vicendevole. Il mondo sa che il principe della Pace, Gesù, è nato qui. In questo luogo dove a mancare oggi è proprio la pace. Chiediamo pace per Betlemme e preghiamo perché questo avvenga. Lo chiediamo con Papa Francesco, la cui visita prevista il prossimo anno ci donerà ancora più speranza e forza. Lo chiediamo ai governanti, ai leader politici, ai rappresentanti dei Paesi che parteciperanno alla Messa di Mezzanotte, nella Chiesa di Santa Caterina, presieduta da Fouad Twal alla presenza del presidente palestinese Abu Mazen». Ci saranno, in quel momento, migliaia di persone dentro e fuori la chiesa, nella grande piazza della Natività. Betlemme si prepara ancora una volta a lanciare il suo messaggio di pace. Per un giorno Betlemme sarà un po’ più vicina a Gerusalemme e centro del mondo cristiano.