Sirio 26-29 marzo 2024
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57� Settimana liturgica nazionale PIU’ CUORE NEI NOSTRI RITI

31 Agosto 2006

A furia di purificarci dalle passioni, dai sentimenti e dalle emozioni, abbiamo finito per costruire riti asettici e un po’ noiosi. La gente che vi partecipa prega, ma affinché finiscano presto!
Che cosa hanno a che fare messe, processioni, celebrazioni liturgiche con il mondo degli affetti e dei sentimenti, di cui la nostra vita umana è completamente impregnata? È ruotata tutta intorno a questa provocatoria questione la presentazione del gruppo di lavoro dedicato a “Liturgia e vita affettiva”, affidato alle sapienti parole di monsignor Giuseppe Busani, oggi docente di liturgia ed estetica al collegio Alberoni di Piacenza nonché Vicario per la pastorale nella sua diocesi e in passato direttore dell’Ufficio liturgico nazionale.

di Maria Teresa Antognazza

Mons. Giuseppe Busani è un grande esperto in materia di riti e celebrazioni. Cosicché, quando afferma con grande forza che – citando Romano Guardini – “servono sensi e cuore” per penetrare il mistero e che a tale scopo operano le nostre liturgie, non possiamo che lasciarci interpellare profondamente dalla “qualità celebrativa” dei nostri riti comunitari e interrogarci sul motivo della sempre crescente “noia” (parola usata spesso dallo stesso relatore) che accompagna la partecipazione dei fedeli.
Un percorso, quello su liturgia e affettività, che la Settimana Liturgica Nazionale ha voluto inserire nella riflessione della Chiesa verso il convegno di Verona, che appunto al mondo degli affetti riserva il primo ambito di confronto sulla testimonianza credente.

«Nella liturgia – ha dunque argomentato Busani – si proclama e si racconta di un Dio che desidera nominare se stesso con il nome di Abramo, Isacco, Giacobbe: un Dio sensibile e appassionato, che ascolta, vede, scende, si avvicina, abbraccia. Il Dio di Gesù Cristo piange, mostra gioia e sdegno, si lascia toccare il lembo del mantello, profumare i piedi… Come escludere sensi, sentimenti, emozioni quando il senso del celebrare è quello di realizzare la partecipazione alla Rivelazione di un Dio così sensibile? I verba affectum appartengono all’originario e al costitutivo dell’esperienza cristiana. Come farli tacere ed emarginarli dall’esperienza liturgica? Qual è il prezzo di tale emarginazione? Il risultato non può essere che la noia!».

Guardando dunque ai riti, Busani ha indicato il suo distendersi nel luogo e nello spazio come un «gioco tra conoscenza, emozione e azione». Attribuendo, a differenza di un certo modo razionalista occidentale di pensare, grande valore al mondo dei sentimenti e delle emozioni («è una grazia – ha detto – provare emozioni!», e ancora: «emozione è ciò che ci muove verso una realtà che riteniamo importante, che ci apre e ci muove verso una realtà, consentendoci di istituire una relazione. Senza, ci sarebbe l’indifferenza»), il relatore ha attribuito alla liturgia una «vocazione estetico-espressiva». Essa «vuole esporre il soggetto al contatto con il mistero. La partecipazione liturgica – insomma- è un lasciarsi toccare dalle mani del figlio di Dio».

Tutto il nostro corpo, dunque, è coinvolto e compreso dalla celebrazione liturgica. Non solo la mente, non solo la parola. E a chi gli domandava se non fosse opportuno allora inserire anche la danza nei nostri riti, Busani ha ricordato che la liturgia stessa è danza: lo sono i movimenti delle processioni d’ingresso, quelli della presentazione delle offerte all’altare, i movimenti dell’incensazione.

Gesti, ritmi celebrativi, silenzi, non da “spiegare” o a cui “prepararsi previamente” ma dei quali partecipare con tutti i propri sensi, “corporalmente”, lasciandosi (come ha suggerito in conclusione il presidente del Cal, monsignor Brandolini) anche commuovere da ciò che si celebra sull’altare, fino alle lacrime.

E allora, per rispondere alla domanda iniziale “perchè le nostre celebrazioni invece di emozionare annoiano?”, occorrono – canterebbe Turoldo – “desti i sensi”. «Desti i sensi ogni celebrazione – ha concluso Busani – custodirà il fondo sonoro di uno stupore spontaneo che fermenta nelle cose e che forse è il suo stato finale. La liturgia, come lo stupore, è sorgente e sbocco. Ciò che ci viene incontro nella celebrazione, proprio nella sua ripetizione del ritmo, è sempre una visitazione che ha il sapore della prima volta». “Come la prima volta”: così ci si dovrebbe accingere a celebrare ogni liturgia eucaristica domenicale, custodendo il dono iniziale, «custodendo – sono ancora parole del relatore – l’indicazione dell’inizio: cioè l’imporsi della vita sul nulla della morte».

A tutti, preti in testa, è consegnato l’urgente appello a «tornare a stupirsi, ogni volta, dell’atto stesso dell’entrare in chiesa».