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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Vescovi

La Chiesa italiana vuole
«pensare in grande»

Il comunicato diffuso al termine del Consiglio permanente della Cei, svoltosi la settimana scorsa a Roma

30 Settembre 2009
ROMA 21-09-2009 CONSIGLIO PERMANENTE CEI
LA PROLUSIONE DEL CARD. ANGELO BAGNASCO *** Local Caption ***

«Pensare in grande, senza lasciarsi rinchiudere in visioni anguste»: questa la «prospettiva condivisa» da tutti i vescovi italiani. È quanto si legge nel comunicato finale del Consiglio permanente della Cei, svoltosi la settimana scorsa, nel quale i presuli lanciano un «appello alla comunità ecclesiale e civile», a partire dalla consapevolezza che «solo quando il Vangelo diventa cultura, cioè si declina in comportamenti concreti, assolve al suo compito di offrire una speranza fondata a una società scettica e disorientata».
Al centro dei lavori, la prima traccia degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, con al centro la «questione educativa» come «perno di una rinnovata stagione di evangelizzazione». «Non un semplice prontuario pedagogico – precisano i vescovi -, ma uno strumento che propizi una presa di coscienza plausibile e praticabile per reagire al diffuso nichilismo che pervade la vita di tanti, specie dei più giovani». «Pensare in grande, senza lasciarsi rinchiudere in visioni anguste»: questa la «prospettiva condivisa» da tutti i vescovi italiani. È quanto si legge nel comunicato finale del Consiglio permanente della Cei, svoltosi la settimana scorsa, nel quale i presuli lanciano un «appello alla comunità ecclesiale e civile», a partire dalla consapevolezza che «solo quando il Vangelo diventa cultura, cioè si declina in comportamenti concreti, assolve al suo compito di offrire una speranza fondata a una società scettica e disorientata».Al centro dei lavori, la prima traccia degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, con al centro la «questione educativa» come «perno di una rinnovata stagione di evangelizzazione». «Non un semplice prontuario pedagogico – precisano i vescovi -, ma uno strumento che propizi una presa di coscienza plausibile e praticabile per reagire al diffuso nichilismo che pervade la vita di tanti, specie dei più giovani». La «malattia mortale» «La malattia mortale che rende tanto difficile il rapporto educativo è l’incapacità di rapportarsi con il reale, avendo smarrito il senso dell’oggettività»: questa la denuncia dei vescovi italiani. «La Chiesa intera è chiamata a generare nuovi credenti attraverso l’esperienza dell’educare»: nel contesto della presentazione della prima traccia degli Orientamenti pastorali 2010-2020, i vescovi auspicano «un documento unitario ed essenziale, che abbia la capacità di “trafiggere i cuori” per raccogliere l’emergenza dell’educazione nel nostro contesto liquido e plurale».Di qui la necessità di focalizzare alcune «dimensioni fondamentali» dell’esperienza umana, quali la libertà, la volontà, la ragione, l’amore e la fede. In questa «trasmissione» (traditio) dell’«arte di vivere», per la Chiesa, la famiglia «gioca un ruolo decisivo, a condizione che sappia superare la tentazione iperprotettiva a risparmiare ai figli qualsiasi esperienza del limite e del sacrificio». «Perché sia efficace, l’intervento educativo richiede l’apporto di tutti gli adulti e delle diverse agenzie sociali», e la «domanda di educazione» deve «penetrare in tutti gli ambiti di vita». No alla "professionalizzazione" dei sacerdoti Il sacerdote rischia oggi «una preoccupante scissione tra la sfera personale e l’attività ministeriale, separando l’essere dall’agire». Per la Cei, «occorre dunque affrontare la possibile deriva di una “professionalizzazione” riduttiva», partendo dalla consapevolezza che «il sacerdote deve attrarre con la propria persona, ancor prima che con le sue attività». Il prete, cioè, «riesce a educare efficacemente soltanto se dietro al suo fare si colgono le tracce di un’esistenza di fede e dunque lieta, anche quando è segnata da fatiche e prove».«Tutti abbiamo bisogno di testimoni credibili per superare la rassegnazione e il fatalismo», ammoniscono i vescovi, secondo i quali «la crisi odierna pervade i costumi e non può essere affrontata limitandosi a enunciare principi e valori». Una «inedita condizione», questa, che può consentire al prete di diventare «una sfida agli occhi di tutti, se vive all’altezza della propria vocazione». Di qui la «sincera gratitudine» del Cep «per la testimonianza di tantissimi preti che rendono presente la Chiesa nel Paese». «Clamoroso silenzio» sulla questione meridionale «La questione meridionale rischia di essere oggi avvolta in un clamoroso silenzio, pur in presenza di preoccupanti segnali di crisi». È il grido d’allarme lanciato dai vescovi. «Non tutto il Sud è povero – è stato sottolineato durante l’assise dei vescovi -, ma patisce un impoverimento progressivo in alcune macroaree». Tale situazione, per la Cei, «richiede non assoluzioni preventive né indebite colpevolizzazioni, ma una parola di responsabilità indirizzata alla gente del Sud e alla Chiesa che colà vive, capace nel contempo di rivolgersi al Paese intero, come voce di tutta la Chiesa che è in Italia».Di qui la necessità di «fare appello a tutte le forze positive, declinando l’attenzione alle problematiche locali nella coscienza di appartenere a un’unica nazione». Il Cep ha deciso di «riconsiderare i temi affrontati dai vescovi 20 anni fa nel documento Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno: il testo, che sarà esaminato nella versione definitiva dall’Assemblea generale di Assisi (9-12 novembre), «non si limiterà a denunciare i problemi con taglio sociologico, ma offrirà chiavi di lettura animate dalla speranza cristiana, virtù che non tace il peccato, ma sa far leva sulla responsabilità, sulla solidarietà e sulla sobrietà».