La fama di don Carlo Gnocchi perdura ormai da oltre cinquant’anni anche per il gesto che coronò la sua vita, il dono che fece delle sue cornee a un ragazzo, Silvio Colagrande, che aveva allora undici anni, e a una giovane, Amabile Battistella, che di anni ne aveva diciotto.
Perché lo fece? Non certo per violare la legge, che allora proibiva ancora i trapianti: erano state già presentate in Parlamento cinque proposte di legge, sempre fatte cadere. Si trattava di spingere il Parlamento a decidersi? Forse. A me pare che il motivo più profondo si trovi nel Vangelo. Quante volte don Carlo aveva meditato l’inizio del capitolo 13 del Vangelo di Giovanni: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Gesù li amò sino alla fine», sino alla totalità, sino a non lasciare più nulla fuori dalla sua possibilità di amare.
Don Carlo moriva, ma poteva ancora compiere un gesto d’amore. E lo fece. Che fosse il suo ideale lo conferma un aneddoto, custodito in Pedagogia del dolore innocente. Aveva rimproverato una suora perché non aveva usato la macchina del massaggio per un bambino poliomielitico. Ella gli rispose candidamente: «Che vuole, col massaggio manuale io ho l’impressione di far passare un po’ della mia vita in quelle gambine inaridite. Le macchine sono comode… ma sono un’altra cosa…». Don Carlo commentò: «La lotta e la vittoria contro il dolore è una seconda generazione, non meno grande della prima e chi riesce a ridonare a un bimbo la sanità, l’integrità, la serenità della vita, non è meno padre di colui che lo ha chiamato per la prima volta alla vita». È padre, è madre chi è capace di trasformare la tristezza in sorriso. La fama di don Carlo Gnocchi perdura ormai da oltre cinquant’anni anche per il gesto che coronò la sua vita, il dono che fece delle sue cornee a un ragazzo, Silvio Colagrande, che aveva allora undici anni, e a una giovane, Amabile Battistella, che di anni ne aveva diciotto.Perché lo fece? Non certo per violare la legge, che allora proibiva ancora i trapianti: erano state già presentate in Parlamento cinque proposte di legge, sempre fatte cadere. Si trattava di spingere il Parlamento a decidersi? Forse. A me pare che il motivo più profondo si trovi nel Vangelo. Quante volte don Carlo aveva meditato l’inizio del capitolo 13 del Vangelo di Giovanni: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Gesù li amò sino alla fine», sino alla totalità, sino a non lasciare più nulla fuori dalla sua possibilità di amare.Don Carlo moriva, ma poteva ancora compiere un gesto d’amore. E lo fece. Che fosse il suo ideale lo conferma un aneddoto, custodito in Pedagogia del dolore innocente. Aveva rimproverato una suora perché non aveva usato la macchina del massaggio per un bambino poliomielitico. Ella gli rispose candidamente: «Che vuole, col massaggio manuale io ho l’impressione di far passare un po’ della mia vita in quelle gambine inaridite. Le macchine sono comode… ma sono un’altra cosa…». Don Carlo commentò: «La lotta e la vittoria contro il dolore è una seconda generazione, non meno grande della prima e chi riesce a ridonare a un bimbo la sanità, l’integrità, la serenità della vita, non è meno padre di colui che lo ha chiamato per la prima volta alla vita». È padre, è madre chi è capace di trasformare la tristezza in sorriso.
Il dono
«Lì amò sino alla fine»
Ennio APECITI responsabile Servizio per le Cause dei santi Redazione
28 Settembre 2009