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Una casa per i rifugiati

Nel decanato milanese Venezia un'apposita struttura accoglie le famiglie straniere scappate dal loro Paese perché perseguitate dal punto di vista politico o religioso

5 Giugno 2008

23/01/2008

Un’abitazione per le sole famiglie rifugiate. Un luogo dove vivere e crescere i propri figli in attesa delle pratiche di regolarizzazione. Tutti insieme, senza separazioni forzate. Nel decanato milanese Venezia ha sede una casa dedicata all’“Accoglienza dei rifugiati”, aperta alle famiglie.

«L’iniziativa nasce dall’idea di non dividere gli uomini dalle donne e dai bambini, come sottolineava il cardinale Martini. Uno strumento di integrazione, dove la famiglia possa davvero essere una risorsa preziosa», spiega don Giorgio Riva, parroco di Santa Francesca Romana, la parrocchia dove ha sede la casa.

Ènata nel 2000 per aiutare tutti coloro che scappano dal proprio Paese perché perseguitati a livello politico o religioso. «L’obiettivo che si cerca di perseguire è quello di accompagnare chi arriva in Italia e sostenerlo finché non è in grado di condurre una vita autonoma», precisa don Giorgio.

I rifugiati, infatti, hanno difficoltà maggiori rispetto agli altri immigrati. Spesso arrivano all’improvviso, non hanno avuto modo di crearsi contatti prima della partenza, non conoscono leggi e regole per vivere nel nostro Paese, portano con sé solo il minimo necessario. Talvolta poi hanno subìto anche il trauma della guerra e hanno bisogno di un’assistenza particolare.

La gestione dell’attività è affidata alla Cooperativa “Farsi prossimo” della Caritas Ambrosiana. Ma qui, assieme agli educatori e agli assistenti sociali, si alternano anche i volontari della parrocchia, pronti a dare una mano nell’integrazione. Non mancano nemmeno le famiglie italiane che decidono di dedicare parte del loro tempo ad aiutare gli stranieri a integrarsi.

«Su questo tema da noi la solidarietà si è molto sviluppata – aggiunge don Giorgio -. Cerchiamo di coinvolgere soprattutto i bambini. Vengono a trovare i loro coetanei, provenienti dalle più disparate parti del mondo e danno loro una mano con lo studio, giocano insieme». Si creano rapporti di tolleranza reciproca, che saranno importanti per la crescita di entrambi, sia per gli italiani, sia per gli stranieri. Ci si conosce. Nascono amicizie. E si capisce che, dopotutto, non si è poi così diversi.

Altre volte, invece, quando c’è una comunanza di fede religiosa, si cerca di coinvolgerli anche nelle attività dell’oratorio, nei momenti di preghiera e nell’educazione alla fede. «Sono occasioni che aiutano la comunità parrocchiale ad aprirsi all’esterno e che migliorano il dialogo tra i fedeli», conclude don Giorgio. (C.C.)