Precarietà lavorativa, frammentazione dei legami e solitudine di fronte ai problemi, deterioramento delle risorse comunitarie, flussi migratori, invecchiamento demografico: sono solo alcune delle variegate questioni che influenzano le nostre vite. Ci sentiremo più o meno vulnerabili a seconda delle modalità con cui la società è attrezzata per affrontarle.
In una società post-industriale, che mette in crisi il ceto medio e popolare, prima più protetto dalle incertezze del mercato del lavoro e meno colpito dalle instabilità dei nuclei familiari, si diffonde quella che gli studiosi chiamano vulnerabilità sociale: una condizione e una sensazione di “fragilità ordinaria” dove le possibilità di essere autonomi e la libertà di impostare un proprio progetto di vita sono messe in discussione dall’instabilità di sistemi sociali, che dovrebbero garantire la distribuzione delle risorse e l’integrazione sociale.
Sicuramente è più arduo di un tempo elaborare e stimolare politiche per intervenire a sostegno delle persone in difficoltà. Le motivazioni non sono riconducibili esclusivamente alle inefficienze del welfare state tradizionale o alla scarsità di risorse che i vari Stati investono.
È importante comprendere che i bisogni dei cittadini sono meno standardizzabili di un tempo, così gli interventi a carattere universalistico non possono risolvere i problemi di tutti, possono e devono alleviarne alcuni.
Da qualche anno l’Unione Europea stimola i suoi Paesi membri a promuovere pratiche di innovazione sociale con l’obiettivo di sviluppare nuove idee, servizi e modelli per rispondere meglio alle questioni sociali emergenti attraverso la creazione di nuove relazioni e nuove collaborazioni tra soggetti sociali e singoli cittadini.
Si tratta molto spesso di iniziative che sorgono dal basso; sono esperienze di comunità attive che rendono i cittadini protagonisti. La loro efficacia è in relazione alla concretizzazione del principio di sussidiarietà che come da tempo sostiene l’economista Stefano Zamagni va compresa nella sua dimensione circolare: enti pubblici, imprese private, organizzazioni della società civile dovrebbero essere considerati soggetti di pari dignità che insieme, con ruoli e mission diverse, possono operare verso un comune obiettivo.
Abbiamo bisogno di cercare strade nuove, non sostitutive ma integrative dell’esistente. Per incentivarle l’Italia si indirizza verso una riforma del Terzo Settore. Una sfida importante se riuscirà a chiarire le modalità di collaborazione tra pubblico e privato con formule di partnership e co-progettazione, se riequilibrerà le regole del sistema fiscale con una differenza tra imprese che distribuiscono utili e le altre.