Una differenza rispetto al passato c’è, ed è rilevante: la manovra autunnale che il governo Renzi sta predisponendo, non vuole essere un coacervo di robette affastellate lì, né l’insieme di piccoli “giri di vite” di lettiana (Enrico) memoria. È sicuramente ambiziosa. Si ragiona su cifre imponenti – 35 miliardi di euro non sono noccioline – ma soprattutto vuole essere una grande scossa per il Paese.
Però lo premettiamo subito, prima di analizzarla: saremo come San Tommaso, perché questi anni, e pure questi mesi, sono stati pieni di roboanti annunci, pian piano svaporati in qualcosa di diverso e comunque più limitato.
Quindi ascoltiamo con piacere l’intento di ridurre pesantemente il cuneo fiscale, lasciando più soldi nelle tasche di imprese e lavoratori; salutiamo con gioia l’intenzione di creare fondi ad hoc per chi ha famiglia con figli; ci sentiamo rinfrancati dal permanere di misure che sono risultate molto gradite ed efficaci, come i bonus ristrutturazione edilizia. Addirittura esultiamo per tutto quanto viene fatto a livello governativo per incrementare l’occupazione, a cominciare dagli sgravi contributivi per i neo-assunti, passando per la stabilizzazione di migliaia di insegnanti precari e finendo con i regimi minimi di tassazione applicati alle partite Iva con basso fatturato. Ma tutte queste sono maggiori spese o minori entrate: dove si troveranno i soldi per finanziarle? Dove i tagli corrispondenti di spesa?
Ecco, poiché siamo appunto in fase preliminare, ci aspettiamo che le indicazioni finora fuoruscite a livello mediatico siano irrobustite da qualcosa di più concreto rispetto a quanto detto finora. Cioè: il solito recupero dell’evasione fiscale (come si possa quantificarlo a priori, rimane per noi un mistero); i soliti tagli “ministeriali”; quelli imposti, anzi scaricati addosso agli enti locali che hanno qualche ragione di esistere a livello regionale, mentre i Comuni sono ormai quasi allo stremo. Qualche balzello, qualche riordino di imposte (Iva soprattutto).
Insomma, dal lato dell’“avere”, è una manovra che noi italiani ci sogniamo da anni; dal lato del “dare”, il rischio vero è che alla fine non ci siano le risorse e diventi una fabbrica dei sogni, destinata ad avverarsi tramite aumento del debito pubblico – e i margini qui sono a zero – o a spegnersi pian piano rimettendo più di un sogno nel cassetto.
Purtroppo i nostri dubbi sono pure quelli dell’Ue, che cavilla su una sciocchezza del nostro bilancio, ma che in realtà è preoccupata di un eventuale ritorno della politica dei cordoni allargati; e quelli di migliaia di realtà che possiedono gli oltre duemila miliardi di titoli del debito pubblico italiano nei loro portafogli: buona parte degli italiani compresi.
Tutto ciò se esaminiamo la questione dal mero dato matematico. Ma anche se la manovra renziana si rivelasse un po’ troppo infarcita di sogni, o panzane, ha sicuramente un aspetto positivo già da subito: dà l’impressione al Paese che le cosa stiano cambiando, o possano cambiare in meglio. Che il tempo della penitenza sta per scadere; che è lecito guardare al futuro con più ottimismo, con più fiducia. Che non è vero che l’Italia sia un Paese immobile e immobilizzato.
Almeno questo è il messaggio che traspare netto: un’iniezione di adrenalina ad un popolo impaurito, impoverito, inchiodato al presente. In queste condizioni, non si va da nessuna parte se non indietro. E a volte fa molto di più un cambio della psicologia collettiva, che tante manovre piene di numeri ma vuote di speranza.