Dopo lunghi mesi di aspri confronti e scontri armati, la crisi in Ucraina è ormai arrivata al nodo centrale: il futuro della regione orientale, abitata da una rilevante minoranza russa. Persa la partita per il controllo del governo centrale di Kiev, la Russia di Putin si è assicurata il controllo della Crimea con un’operazione ben orchestrata dal punto di vista militare e in definitiva poco rischiosa.
La Crimea è popolata in maggioranza da russi, è una regione ben circoscritta, ospita importanti basi militari delle forze armate di Mosca e rappresenta un trampolino fondamentale per far accedere la Russia direttamente al Mar Nero. Per Putin si trattava di un tassello geopolitico troppo importante e per l’Ucraina (come per l’Occidente) di una perdita tutto sommato tollerabile, se con essa fosse stata garantita la stabilità dell’intera regione. Adesso però il confronto sta cambiando faccia.
Dinanzi alle indecisioni occidentali, Putin sta giocando al rialzo e per chiudere definitivamente a proprio favore una partita iniziata male sta mettendo cinicamente a repentaglio la stabilità e l’ordine interno dell’Ucraina orientale. Se il governo di Kiev, l’Unione Europea e gli Stati Uniti non acconsentiranno al volere di Mosca, le minoranze russe potrebbero “magicamente” mobilitarsi e sostenere l’indipendenza delle loro regioni anche attraverso l’uso della forza. La tregua di Pasqua ha vacillato a causa di alcuni episodi di violenza, mentre l’accordo sul disarmo dei gruppi paramilitari di entrambe le parti firmato a Ginevra venerdì scorso è rimasto, per ora, solo sulla carta.
Si sta ormai oltrepassando il limite fra la realpolitik e il cinico machiavellismo. Putin scherza col fuoco e lo sa perfettamente. Sostiene di essere guidato dalla volontà di proteggere le minoranze russe, ma in realtà le sta utilizzando come strumento per mettere in difficoltà l’Europa e gli Stati Uniti, senza preoccuparsi troppo di cosa potrebbe effettivamente accadere se scoppiasse una guerra civile. Gli esperti di questo tipo di conflitti sanno bene che la situazione ucraina comporta un rischio reale ma non drammatico di scoppio della violenza, se il contesto non viene alterato appositamente. Il problema è che la strategia russa per ottenere una soluzione gradita della crisi prevede che l’equilibrio interno possa essere modificato per far salire la tensione, sottovalutando il problema che nel momento in cui scoppiano le guerre civili risultano molto difficili da dirigere e controllare, anche per chi le ha ispirate.
Certo, se davvero scoppiasse un conflitto, probabilmente anche Mosca voterebbe a favore di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che decidesse di inviare una forza di peacekeeping, qualora questa contenesse un corposo contingente russo. La sistemazione geopolitica successiva a un simile conflitto sarebbe probabilmente più stabile dell’attuale, ma nel frattempo sarebbero state mietute molte vittime. Ci hanno pensato gli odierni difensori del revival ottocentesco di Putin che ogni tanto si affacciano sui mezzi di comunicazione? Le crociate utopistiche che dimenticano gli interessi delle grandi potenze sacrificano spesso molte vite sugli altari di ideali politici astratti, ma anche le politiche estere completamente determinate dagli interessi di potenza raramente garantiscono la pace alle popolazioni.
Nell’Ottocento ogni tanto si faceva la guerra, ed era normale. I governanti raramente morivano, gli editorialisti non esistevano, ma qualcuno veniva sacrificato. Oggi dovremmo aspirare a qualcosa di meglio.