La Chiesa ha sempre considerato con particolare attenzione la condizione dell’essere umano nella fase iniziale del suo sviluppo (zigote, morula, blastocisti, embrione), a motivo della sua delicatezza. Qui sono implicate considerazioni di carattere filosofico, antropologico, etico e anche giuridico. In altre parole, la questione riguarda l’identità e lo statuto dell’embrione umano. «Si tratta indubbiamente di un argomento affascinante, ma difficile e impegnativo – diceva Benedetto XVI -, data la delicata natura del soggetto in esame e la complessità dei problemi epistemologici che riguardano il rapporto tra la rilevazione dei fatti a livello delle scienze sperimentali e la susseguente e necessaria riflessione sui valori a livello antropologico» (discorso del 27 febbraio 2006).
Le parole del Papa sono di particolare significato nel momento in cui la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che non è brevettabile un procedimento che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, comporti inevitabilmente la distruzione dell’embrione.
Come si può ben comprendere, né la Sacra Scrittura, né la Tradizione cristiana più antica possono contenere trattazioni esplicite su questo tema. Ciononostante San Luca, nel raccontare l’incontro della Madre di Gesù (che lo aveva concepito nel suo seno verginale solo da pochi giorni) con la madre di Giovanni Battista (già al sesto mese di gravidanza), testimonia la presenza attiva, sebbene nascosta, dei due bambini: «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo» (Lc 1,41). Sant’Ambrogio commenta: Elisabetta «percepì l’arrivo di Maria, lui (Giovanni) l’arrivo del Signore; la donna l’arrivo della donna, il bambino l’arrivo del bambino» (Comm. in Luc., 2,19.22-26). Anche in mancanza di espliciti insegnamenti sui primissimi giorni di vita del nascituro, nella Sacra Scrittura è possibile trovare preziose indicazioni che motivano sentimenti d’ammirazione e di riguardo nei confronti dell’uomo appena concepito, specialmente in chi si propone di studiare il mistero della generazione umana.
L’ammirazione nasce quando si pensa che Dio interviene direttamente nella creazione dell’anima di ogni nuovo essere umano. «L’amore di Dio – spiegava ancora il Papa – non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26)». Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito, in cui «ci ha scelti prima della creazione del mondo, (…) predestinandoci a essere suoi figli adottivi (…) secondo il beneplacito della sua volontà» (Ef 1,4-6). Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l’uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione – intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via. In definitiva, la vita umana è sempre un bene, poiché «essa – anticipava Giovanni Paolo II – è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria» (Evangelium vitae, 34). All’uomo, infatti, è donata un’altissima dignità, che ha le sue radici nell’intimo legame che lo unisce al suo Creatore: nell’uomo, in ogni uomo, in qualunque stadio o condizione della sua vita, risplende un riflesso della stessa realtà di Dio.
Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale. Questo giudizio morale vale già agli inizi della vita di un embrione, prima ancora che si sia impiantato nel seno materno, che lo custodirà e nutrirà per nove mesi fino al momento della nascita. La vita umana è sacra e inviolabile in ogni momento della sua esistenza, anche in quello iniziale che precede la nascita. L’origine della vita umana resta un mistero, anche se le conoscenze scientifiche progrediscono enormemente. Infatti, appena la ragione riesce a superare un limite ritenuto invalicabile, altri limiti fino allora sconosciuti la sfidano. L’uomo rimarrà sempre un enigma profondo e impenetrabile. Già nel secolo IV, san Cirillo di Gerusalemme presentava ai catecumeni che si preparavano a ricevere il battesimo la seguente riflessione: «Chi è colui che ha predisposto le cavità dell’utero alla procreazione dei figli? Chi ha animato in esso il feto inanimato? Chi ci ha provvisto di nervi e di ossa circondandoci, poi, di pelle e di carne (cfr Gb 10,11) e, non appena il bambino è nato, fa uscire dal seno abbondanza di latte? In qual modo il bambino, crescendo, diventa adolescente, da adolescente si muta in giovane, successivamente in uomo e, infine, in vecchio, senza che nessuno riesca a cogliere il giorno preciso nel quale si verifichi il mutamento?». E concludeva: «Stai vedendo, o uomo, l’artefice; stai vedendo il sapiente Creatore» (Catechesi battesimale, 9, 15-16).
All’inizio del terzo millennio, rimangono ancora valide queste considerazioni che si rivolgono, non tanto al fenomeno fisico o fisiologico, quanto al suo significato antropologico e metafisico.