Sirio 26-29 marzo 2024
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L'intervista

Scuola, si rischia di non ripartire nemmeno a settembre

Secondo suor Anna Monia Alfieri, referente scuola dell’Usmi (Unione superiore maggiori d’Italia) e membro della Consulta di Pastorale scolastica e del Consiglio Nazionale Scuola della Cei, non possiamo nemmeno immaginare le conseguenze che avrà la Dad su questa generazione. E mentre i ragazzi sono a casa, i veri mali del sistema educativo italiano non si affrontano. La soluzione? Mettere a punto una seria sinergia tra le statali e le paritarie.

di Stefania CECCHETTI

6 Novembre 2020

Che la scuola rischiasse di non riaprire, o di riaprire a singhiozzo, lo aveva denunciato fin da aprile. Purtroppo, il tempo le ha dato ragione e ora che il danno è fatto suor Anna Monia Alfieri, referente scuola dell’Usmi (Unione superiore maggiori d’Italia) e membro della Consulta di Pastorale scolastica e del Consiglio Nazionale Scuola della Cei, guarda già al futuro.

Durante la prima ondata la scuola italiana è stata fra le prime cose a chiudere e fra le ultime a ripartire. Un film che rischia di ripetersi in questa seconda ondata. Perché in tutta Europa avviene il contrario?

Il Covid ha dimostrato che il sistema scolastico europeo è molto differente dal nostro in termini di equità. Dove si è garantito il pluralismo educativo, e quindi la libertà di scelta dei genitori, si sono generati processi virtuosi tra scuole pubbliche e paritarie, che hanno evitato i limiti del sistema italiano, che con il Covid si stanno esacerbando: il sovraffollamento delle classi, la mancanza di organico e la carenza di mezzi di trasporto.

Mi scusi, ma in cosa il pluralismo educativo gioverebbe al problema mezzi di trasporto?

Nella laicissima Francia una famiglia può scegliere una scuola statale oppure, a costo zero, decidere di mandare il proprio figlio in un istituto paritario. Dove c’è più scelta, è più probabile che si riesca a trovare la scuola dell’indirizzo desiderato anche relativamente vicino a casa, con uno sgravio importante dei mezzi pubblici.

La delusione delle famiglie e degli studenti è grande in questo momento. Che fare?

È l’osservazione della realtà che ci indica le soluzioni. Per questo come Usmi e Cism (Conferenza italiana superiori maggiori), organismi che rappresentano i principali proprietari delle scuole paritarie e cattoliche, e insieme al mondo associativo e ai sindacati, in questi 200 giorni abbiamo chiesto a gran voce sinergie tra le paritarie e le statali per risolvere i problemi di aule e organico. Tramite un accordo tra le 40 mila sedi scolastiche statali e le 12 mila paritarie, 8 milioni di studenti avrebbero potuto rientrare in classe in sicurezza. Siamo stati uditi in Commissione bilancio della Camera a maggio, fornendo una marea di dati. Abbiamo spiegato che non si trattava di far ripartire le paritarie, fortemente provate dalla crisi economica conseguente al Covid, ma di trovare soluzioni pratiche per far ripartire la scuola per tutti. Perché qui, non so se si è capito, ma è a rischio anche il prossimo anno scolastico.

Perché siete rimasti inascoltati?

Perché a mio parere a questo governo manca una “vision”. C’è stata una grossa sottovalutazione del problema per una scarsa conoscenza del mondo della scuola e perché si è avuta una visione parcellizzata della questione. Si è cincischiato con i banchi a rotelle, senza predisporre piani sanitari nelle scuole. Non si è capito che scuola, sanità e sicurezza, non sono compartimenti stagni. Infatti, mi “arrabbio” molto quando in questi giorni sento giustificare la Dad integrale con l’argomento della tutela della salute. Contrapporre i diritti è un gioco pericoloso. I diritti, in questo caso quello alla salute quello allo studio, vanno di pari passo.

Perché vede a rischio anche il prossimo anno scolastico?

Se non interveniamo in qualche modo, a settembre 2021 la scuola statale – nella quale, causa sprechi e mala gestione, il costo annuo per studente è di 8500 euro – non avrà certo risolto i suoi problemi di spazio e di docenti. Il concorso fortemente voluto dalla ministra Azzolina ha dovuto essere sospeso per il Covid. Le paritarie – dove il costo per studente è 5.000 euro annui (dai 3.800 per l’Infanzia ai 5.500 per il liceo) – saranno, per contro, in profonda crisi e quelle che non chiuderanno dovranno chiedere rette ben maggiori, diventando scuole di élite.  Aumenteranno dispersione scolastica e l’analfabetismo. I più deboli, come i disabili, rimarranno indietro. Per non parlare dei danni psicologici che stiamo facendo togliendo ai ragazzi il loro ambito primario di socializzazione e piazzandoli giornate intere davanti a un computer. Non dimentichiamo che con la crisi economica indotta dal Covid le mafie stanno guadagnano spazi preziosi. Creando una generazione di analfabeti stiamo facendo il loro gioco. Questo è uno scenario che dobbiamo assolutamente scongiurare.

Come?

Lavorando fin d’ora in Parlamento, non a suon di Dpcm, e in accordo con le Regioni. Serve una mappatura delle 40 mila sedi scolastiche e 12 mila paritarie, studiando possibili sinergie tra Istituti vicini per distribuire i ragazzi che non hanno una classe nelle aule delle paritarie. A questo meccanismo è legato un nuovo finanziamento del sistema scolastico italiano. È storia di questi mesi: non è mai davvero ripartita la scuola che costa 8.500 euro annui mentre lo ha fatto efficientemente quella che ne costa 5.000: evidentemente, lavorare sulla la quota capitaria attraverso i costi standard di sostenibilità per allievo resta da sempre l’unica soluzione. Bisogna poi intervenire sulla piaga del precariato avendo il coraggio di fare un censimento dei docenti: da una parte l’elenco di tutti i docenti con la disciplina di insegnamento e la città di residenza, dall’altro l’elenco delle scuole e delle cattedre vuote. Si scoprirebbe che non c’è la possibilità matematica che i docenti lavorino tutti vicino a casa, al contrario di quello che promettono da anni politici e sindacati. Si eviterebbero così le migliaia di insegnanti che fanno ricorso alle leve fiscali (legge 104, maternità, malattia) perché non vogliono insegnare lontano dal Comune di residenza. Infine, nel piccolo bisogna agire Regione per Regione per siglare accordi tra i mezzi di trasporto pubblici e privati e per scaglionare gli ingressi e coordinarli con gli orari dei mezzi.