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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Medio Oriente

«Ricostruire Gaza nel segno del dialogo»

Parla padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Jerusalem. C’è grande attesa per la visita della presidenza della Cei dal 2 al 4 novembre

di Daniele ROCCHI

20 Ottobre 2014

Pioggia di denaro sulla Striscia di Gaza distrutta dopo l’ultima guerra con Israele che ha provocato la morte di oltre 2.200 palestinesi, di 73 israeliani, migliaia di feriti e di case e infrastrutture distrutte. Sono 5,4 i miliardi di dollari promessi dalla conferenza dei donatori tenutasi al Cairo, il 12 ottobre scorso, alla presenza di 50 tra ministri degli Esteri e rappresentanti delle organizzazioni internazionali. Tra i maggiori finanziatori c’è il Qatar che da solo ha promesso un miliardo di dollari, l’Unione europea con 568 milioni di dollari, gli Usa con 220 milioni, gli Emirati arabi uniti e la Turchia con 200 milioni ciascuno. Tutti i Paesi hanno chiesto la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi, a partire dall’accordo per il cessate il fuoco del 26 agosto scorso. Quindi dalle pre-intese sull’apertura dei valichi, sulla circolazione di mezzi e persone e sulle opere infrastrutturali. L’agenzia Sir ha chiesto un commento a padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Jerusalem, che opera dal 1990 nella Striscia nel campo dell’assistenza medica e sociale.

«Hanno promesso di donare tutti questi soldi. Ma quando arriveranno e quando potranno essere utilizzati?». Mette in guardia dai facili entusiasmi padre Abusahlia che avverte del rischio di sprecare così tante risorse. «La procedura pensata per gestire questa somma potrebbe provocare uno spreco di risorse – spiega il direttore di Caritas Jerusalem – si legge che i tutti questi soldi dovranno passare attraverso il canale dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e il lavoro dei profughi palestinesi, e per quello dell’Autorità nazionale palestinese. Si calcola, inoltre, che dal momento in cui il denaro sarà disponibile ci vorranno almeno due anni per ricostruire le abitazioni necessarie. Speriamo in una gestione oculata di queste risorse anche se nutro dei dubbi che i soldi arriveranno subito».

Nell’attesa, quali sono le urgenze da affrontare una volta che tutto questo denaro sarà disponibile?

«Direi che sono quattro: innanzitutto ricostruire le case interamente distrutte. Si calcola che siano ben 15mila. Abbiamo, cioè, 15mila famiglie, circa 150mila persone, senza più un tetto. Siamo alla vigilia dell’inverno, e con il freddo cosa ne sarà di tutta questa gente? La metà al momento è ospitata nelle scuole dell’Onu, il resto ha trovato rifugio presso amici e parenti. Sono pochi i nuclei familiari che hanno potuto prendere in affitto case agibili e disponibili. Vanno poi ricostruite le infrastrutture come strade, scuole, condutture di acqua, linee elettriche e telefoniche. Oggi viene erogata energia elettrica per sole due o tre ore al giorno. Priorità indifferibili restano il ripristino e la ricostruzione delle cliniche, degli ospedali, degli ambulatori, ovvero tutto ciò che permette di assistere a livello medico e sanitario la popolazione, soprattutto donne, anziani e bambini, i più provati dalla guerra. Inoltre ci sono da sistemare le frontiere con alcuni valichi con Israele che dovrebbero essere sistemati e aperti. Prima del 2006, anno in cui Hamas ha preso il controllo della Striscia, erano 5 oggi sono solo 2. Altra necessità, infine, è quella di avere un porto e un aeroporto che permettano di collegare Gaza al mondo esterno».

Dal Cairo è anche giunto il monito a riprendere il dialogo. Senza dialogo non si rischia di finanziare la prossima guerra?

«Concordo. Direi che la condizione imprescindibile per finanziare la ricostruzione deve essere proprio la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi. Già si parla del 28 ottobre come data probabile. Questi soldi potrebbero finanziare la prossima guerra se non si riprenderà la trattativa per un accordo globale. Da parte israeliana si percepisce un certo cambio di atteggiamento. Credo, infatti, che Israele abbia capito, dopo tre guerre, che il blocco della Striscia non ha fatto altro che complicare la situazione sul terreno. È urgente discutere sulla fine dell’occupazione militare israeliana e del blocco alla Striscia. Ma vanno affrontati anche temi quali la riapertura dei valichi e l’ingresso di materie prime necessarie alla ricostruzione e di aiuti umanitari (il 14 ottobre Israele ha trasferito nella Striscia 600 tonnellate di cemento, 50 camion di aggregati edilizi e 10 autocarri di metallo, ndr.). Senza queste decisioni sarà difficile avere pace».

Dal 2 al 4 novembre la presidenza della Cei sarà a Gaza…

«Una visita importante quella della Presidenza della Cei che dimostra l’affetto e la vicinanza non solo della Chiesa italiana ma anche della Chiesa universale e di Papa Francesco. La nostra piccola comunità cristiana è davvero felice di incontrare ed accogliere i vescovi italiani. Sarà questa un’occasione per ribadire l’urgente bisogno di vicinanza spirituale e materiale alla nostra gente. Il nostro appello lanciato attraverso Caritas Internationalis per raccogliere oltre un milione e 130 mila euro sta avendo successo. Finora abbiamo coperto con le offerte circa l’85% del necessario e siamo convinti che queste visite possano stimolare i cristiani nel mondo a coprire l’intera cifra. Come Caritas Jerusalem abbiamo da tempo ripreso tutte le nostre attività mediche. Gaza ha bisogno dell’aiuto e della solidarietà di tutti».