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Immigrazione

Profughi, vite da tutelare:
mèta, l’inserimento sociale

La Caritas sollecita un piano di accoglienza nelle strutture adeguate

di Pino NARDI

13 Aprile 2014
Tunisian immigrants wait on a soccer field to be transfered to a temporary facility after their arrival on the Italian island of Lampedusa on February 13, 2011. Italy said the same day it was planning to deploy its security forces in Tunisia to stop a wave of immigrant arrivals, as coastguards intercepted another 1,000 immigrants from the North African state. AFP PHOTO / ROBERTO SALOMONE

Il tempo diventa più clemente e riprendono gli sbarchi a Lampedusa. Migliaia di disperati che fuggono da guerre e miseria, per cercare di costruire un futuro degno per se stessi e i propri figli. Un fenomeno ormai conosciuto bene, eppure nel nostro Paese si parla sempre di «emergenza». In un recente documento, firmato tra gli altri da Caritas italiana, Cnca e Fondazione Migrantes, si dice «basta» alla logica dell’emergenza, per puntare invece su una rete di accoglienza definita attraverso lo Sprar. Invece il Ministero dell’Interno in questi giorni ha attivato le Prefetture per reperire strutture sul territorio, fuori da questo circuito già rodato, creando confusione e utilizzando luoghi non adeguati come gli alberghi, che nulla hanno a che fare con l’accoglienza di immigrati. Anche a Milano e in Lombardia stanno arrivando profughi. La Caritas ambrosiana, insieme alla rete Caritas lombarda, che nell’emergenza Nord-Africa del 2011 ha ospitato oltre mille persone, di cui un terzo a Milano e in Diocesi, è pronta. Ma chiede anche chiarezza. Ne parliamo con Luca Bettinelli, responsabile Area immigrazione della Caritas ambrosiana.

La Caritas ha criticato anche a livello nazionale questa gestione di emergenza…
Non si può considerare questa situazione continuamente un’emergenza. L’Italia è un Paese che offre protezione a immigrati forzati da diversi anni, c’è dunque un bagaglio di esperienze che può essere messo a disposizione perché l’accoglienza dignitosa di queste persone sia strutturale. Occorre potenziare un sistema (lo Sprar) che già esiste, che può arrivare ad accogliere circa 19 mila persone a livello nazionale. È a disposizione tra posti già attivi e attivabili, proprio per far fronte anche a flussi straordinari. Però in questo momento non è attivato. Il richiamo di Caritas italiana sottolinea il fatto che è inutile costruire modelli paralleli che non parlano tra loro e che non sono neanche finalizzati all’inclusione sociale delle persone, perché occorrono competenza e professionalità. Attivare posti straordinariamente, come viene fatto in questo momento, non è virtuoso.

Tipo alberghi o strutture non attrezzate per accogliere in maniera seria…
Sì, sta accadendo quello che è successo nel 2011 con l’emergenza Nord Africa, con la sola differenza che è stata ridotta la quota economica senza però fare in modo che si assicuri un livello di accoglienza maggiore. Le Prefetture devono trovare strutture, ma non è facile reperirle che siano in grado di offrire servizi di qualità. Quindi poi si ricorre all’albergo, ma l’albergatore non può fare inclusione sociale, fa un altro mestiere.

E quindi quale soluzione si può proporre anche sul nostro territorio?
La prima soluzione è attivare i posti Sprar ora non attivi. È un modello molto positivo di collaborazione tra un ente locale – Comune, Provincia, Comunità montana – e un soggetto del terzo settore che ha competenze specifiche. Quindi collaborano per l’accoglienza delle persone, in modo da poter mettere in campo servizi e risorse che possono essere utilizzate per includerle nella società. Il nodo non è solamente dare un tetto e i pasti, ma far capire loro com’è l’Italia, imparare la lingua, le regole di convivenza civile, riqualificarli professionalmente. Lo Sprar è un sistema ordinario che ha regole codificate di sei mesi, un anno. L’obiettivo è l’autonomia delle persone. Tuttavia in questo periodo di crisi la difficoltà della ricerca del lavoro incide negativamente su questi tempi. Però c’è una prospettiva.

Perché questi non vengono attivati?
È una questione legata a problemi amministrativi di attivazione di fondi, però non sono insormontabili. Se c’è la volontà queste difficoltà si possono superare.

Poi si innesta anche un problema di ordine politico. C’è chi dice che siamo invasi e quindi sono necessari i respingimenti. Può essere quella una soluzione?
Come Caritas la risposta è no. Prima di tutto occorre tutelare la vita delle persone, ogni migrante è portatore di diritti e dignità. È la Costituzione stessa che contesta le politiche dei respingimenti in mare, perché comunque bisogna tutelare la persona. Le convenzioni internazionali affermano che la politica basata su respingimenti generalizzati non è legittima. La migrazione, sia economica sia forzata, è un fenomeno sociale. Nessuno dice che non bisogna governarlo, però si deve tener conto delle sue regole. Purtroppo in Italia da parte di alcune forze politiche l’immigrazione viene usata come tema di propaganda.

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