L’11,1% delle famiglie italiane – 8 milioni e 173 mila persone – sono “relativamente” povere. La soglia di povertà per una famiglia di due componenti è fissata convenzionalmente a 1.011 euro di spesa mensile per consumi. All’interno di questa quota sono 3 milioni e 415 mila le persone povere in termini assoluti, quelle cioè che non riescono a sostenere una spesa mensile minima necessaria per acquisire i beni e i servizi essenziali.
Sono i dati principali che emergono dall’indagine Istat La povertà in Italia nel 2011 diffusa oggi. La mancanza di lavoro o la bassa qualificazione professionale contribuiscono a determinare situazioni di povertà assoluta: aumenta infatti dal 4,7% del 2010 al 5,4% del 2011 la povertà nelle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro. Per il capofamiglia con basso profilo professionale, per esempio operaio, si passa dal 6,4 al 7,5%. Le famiglie più numerose, con tre o più figli, basso livello d’istruzione e basso profilo professionale ed esclusione dal mercato del lavoro, sono le più povere. Vivono prevalentemente nel Mezzogiorno d’Italia, soprattutto in Calabria e Sicilia. Ne abbiamo parlato con Francesco Marsico, vicedirettore di Caritas Italiana.
Oltre 8 milioni di famiglie in povertà relativa. Dati simili a quelli del 2011. Invece?
Da un punto di vista quantitativo sembra che nulla sia cambiato, e questo è un limite dell’indicatore di povertà relativa. Quando una crisi economica colpisce un Paese la riduzione complessiva dei consumi attutisce la visibilità dei fenomeni di povertà. Scavando nei dati si vede, invece, con maggiore chiarezza, la crescita della povertà relativa e assoluta tra le famiglie senza redditi da lavoro: questi sono gli effetti della crisi economica. All’interno del dato generale, che rimane abbastanza stabile, c’è una redistribuzione del fenomeno della povertà tra i ceti più fragili. Qui emerge sempre la questione della povertà delle famiglie con figli, un dato permanente. C’è la riconferma drammatica della povertà nel Meridione, con alcune zone del Sud ancora più povere, coma la Sicilia e la Calabria.
Questi dati sono in linea con le vostre analisi e valutazioni?
La povertà delle famiglie con figli conferma quello che noi segnalavamo già nel 2008: la fragilità di alcune condizioni reddituali esponeva una parte del Paese a rischi molto gravi, in caso di riduzioni ulteriori dei redditi. Questo è avvenuto. Famiglie già esposte sono entrate nella condizione di povertà relativa. C’è una sostanziale consonanza con questi dati. Occorre evidenziare, poi, la fragilità delle politiche regionali. Se si guardano, ad esempio, i dati delle risorse pro capite per la spesa sociale in Calabria, si nota un’assenza di politiche riparatorie, che in altre Regioni è invece un elemento di sollievo. La Calabria è la Regione più povera sul piano economico, con il Pil e un livello di spesa regionale e sociale più bassi del Paese.
Quali le cause dell’aggravarsi della povertà in Calabria e in Sicilia?
È evidente che c’è una fragilità complessiva del sistema economico delle due Regioni, anche se in Sicilia ci sono zone con capacità maggiori. La Calabria ha meno zone di sviluppo economico adeguato e grandi zone di povertà endemica. Se a questo si aggiunge la criminalità organizzata, si crea un mix pericolosissimo. Gli episodi di pressione e intimidazione sulle associazioni che gestiscono beni confiscati alle mafie devono far risvegliare profondamente la coscienza cristiana e civile in quelle Regioni.
In sintesi, peggiorano le condizioni dei più poveri tra i poveri. I Centri d’ascolto Caritas sempre più pieni lo confermano da tempo. Cosa fare?
C’è una situazione di stress oramai conclamato delle nostre reti di supporto. In alcuni contesti, soprattutto al Sud, non ci sono alternative ai Centri d’ascolto e alla solidarietà ecclesiale o associativa. Questo è un grande problema. Pur comprendendo le difficoltà di finanza pubblica e l’impossibilità, nel breve periodo, di riforme complessive, servirebbero delle risorse per garantire la sopravvivenza delle famiglie in povertà assoluta, anche per non colpire la formazione dei più giovani ed evitare così situazioni di povertà strutturale. Bisogna capire se il piano di riutilizzo dei fondi strutturali europei portato avanti dal ministero per la Coesione territoriale sia sufficiente o se non ci sia bisogno, invece, d’interventi ulteriori da parte del governo.
Quali misure chiedete?
Servono misure di contrasto, anche cominciando con poche risorse e poi incrementandole, per supportare almeno le famiglie in povertà assoluta. Dovrebbe essere una preoccupazione di coscienza civile e politica. Qualcosa che sostenga le famiglie con figli, le famiglie più povere. Tutti i provvedimenti del governo in questo senso dovrebbero avere il sapore dell’urgenza. Le poche risorse disponibili devono essere utilizzate prontamente.
C’è più bisogno di trasferimenti monetari o di servizi?
In questo caso entrambi. Perché le famiglie povere senza reddito hanno bisogno anche – non esclusivamente – di risorse. Poi ci devono essere servizi di accompagnamento, trovando anche qui, se possibile – come nell’ipotesi di una social card per le grandi città – un mix di risorse pubbliche e private.